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Palla, vol I, II

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view post Posted on 29/6/2006, 10:27
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Palla. Pal La. Ricordo quando ho sentito per la prima volta questo nome, definitivamente non molto tempo fa. Ero a un ballo di Tales e Tallows in una tenuta molto bella ad ovest di Mir Corrup, a cui io e i miei compagni iniziati della Gilda dei Maghi ci eravamo trovati invitati in modo inaspettato. A dire la verità, non dovevamo essere molto sorpresi. C'erano poche altre famiglie nobili a Mir Corrup -- la regione aveva passato i suoi tempi calmi come ritrovo per i ricchi nella seconda era -- e riflettendosi, era appropriato avere stregoni e maghi presenti in una festa soprannaturale. Non che fossimo più esotici che degli studenti in una piccola filiale non esclusiva della Gilda ma, come ho detto, c'erano poche altre scelte a disposizione.



Per quasi un anno, la sola casa che avevo conosciuto era il terreno abbastanza cadente se disordinato della Gilda dei Maghi di Mir Corrup. I miei unici compagni erano gli altri iniziati, la maggior parte dei quali mi tollerava appena e i maestri, la cui amarezza di essere in una Gilda in un luogo tranquillo causava abusi senza fine.



La Scuola dell'Illusione mi attirò immediatamente. Il Maestro che ci aveva insegnato mi riconobbe come un allievo portato che non amava solo gli incantesimi della scienza ma i loro retroscena filosofici. C'era qualcosa nell'idea di deformare le energie impercettibili della luce, del suono e della mente che si appellavano alla mia natura. Non erano per me le scuole vistose della distruzione e dell'alterazione, le sante scuole della ristorazione e dell'invocazione, le scuole pratiche dell'alchimia e dell'incantamento o la scuola caotica del misticismo. No, non fui mai così compiaciuto rispetto al prendere un oggetto ordinario e con poca magia renderlo qualcosa di diverso da ciò che era.



Ci sarebbe voluta più immaginazione di quanto avessi pensato per applicare quella filosofia alla mia vita monotona. Dopo le lezioni del mattino, ci furono assegnati degli incarichi prima delle nostre lezioni serali. Il mio era di ripulire lo studio di un residente della Gilda recentemente morto e classificare i suoi cumuli di libri degli incantesimi, amuleti e incunaboli.



Era un appuntamento solitario e tedioso. Il Maestro Tendixus era un raccoglitore incorreggibile di spazzatura senza valore, ma fui rimproverato ogni volta che buttavo qualcosa col minor valore possibile. Gradualmente avevo imparato abbastanza per consegnare ognuno dei suoi averi al dipartimento appropriato: pozioni di cura ai Maestri della Ristorazione, libri su fenomeni fisici ai Maestri dell'Alterazione, erbe e minerali agli Alchimisti e pietre dell'anima e oggetti incantati agli Incantatori. Dopo una consegna agli Incantatori, me ne stavo andando con la mia solita mancanza di stima, quando il Maestro Ilther mi richiamò.

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"Ragazzo," disse il vecchio corpulento, ridandomi un oggetto. "Distruggi questo."



Era un piccolo disco nero coperto di rune con un anello di gemme rosso-arancioni come ossa che circondavano la sua periferia.



"Mi dispiace, Maestro," balbettai. "Pensavo che fosse qualcosa che potesse interessarla."



"Portalo alla grande fiamma e distruggilo," sbraitò, girando la schiena verso di me. "Non lo hai mai portato qui."



Il mio interesse fu stimolato, perché conoscevo l'unica cosa che lo poteva far reagire in quel modo. Necromanzia. Tornai nella stanza del Maestro Tendixus e mi gettai tra le sue note, cercando qualche riferimento al disco. Sfortunatamente, la maggior parte delle note erano state scritte in uno strano codice che non ero in grado di decifrare. Ero così affascinato dal mistero che quasi arrivai in ritardo per la mia lezione serale di Incantamento, insegnata dal Maestro Ilther in persona.



Durante le settimane seguenti, divisi il mio tempo classificando i rottami generici e facendo le mie consegne e facendo ricerche sul disco. Arrivai a capire che il mio istinto era corretto: il disco era un artefatto necromantico genuino. Anche se non potevo capire la maggior parte delle note del Maestro, capii che pensava che fosse un mezzo di risuscitare un'amata dalla tomba.



Tristemente, venne il tempo in cui la stanza fu classificata e pulita e mi fu dato un altro incarico, assistere nelle stalle del serraglio della Gilda. Finalmente lavoravo con qualcuno dei miei compagni iniziati e avevo l'opportunità di incontrare la gente comune e i nobili che venivano alla Gilda per motivi vari. Ero impiegato così quando fummo tutti invitati al ballo di Tales e Tallows.



Se il fascino atteso della serata non fosse abbastanza, la padrona di casa era ritenuta un'orfana giovane, ricca e non sposata da Hammerfell. Solo uno o due mesi prima si era trasferita nel nostro angolo desolato e forestale della Provincia Imperiale per recuperare un vecchio maniero e una tenuta famigliare. Gli iniziati nella Gilda chiacchieravano come vecchie sul passato misterioso della giovane, su cosa era successo ai suoi genitori, sul perché se ne fosse andata o fosse stata cacciata dalla sua patria. Il suo nome era Betaniqi, e ciò era tutto quello che sapeva.



Indossavamo le nostre tuniche di iniziazione con orgoglio mentre arrivavamo al ballo. Nell'enorme foyer di marmo, un servo annunciò tutti i nostri nomi come se fossimo nobili e avanzammo impettiti nel mezzo della festa. Naturalmente, fummo allora prontamente ignorati ad uno ad uno. In fondo, eravamo figure non importanti per dare dello spessore al ballo. Personaggi di secondo piano.



La gente importante passò attraverso a noi con una gentilezza perfetta. C'era la vecchia Lady Schaudirra che discuteva appuntamenti diplomatici a Balmora con il Duca di Rimfarlin. Un capo di guerra orco intratteneva una principessa che stava ridacchiando con storie di stupri e saccheggi. Tre dei Maestri della Gilda si preoccupavano con tre zitelle dolorosamente magre sull'infestazione di Daggerfall. Intrighi nella corte Imperiale e in varie corti reali furono analizzate, gentilmente prese in giro, consumate, tostate, sciolte, valutate, mitigate, ammonite, sovvertite. Nessuno guardava dalla nostra parte anche quando eravamo proprio di fianco a loro. Era come se la mia abilità nell'illusione ci avesse resi in qualche modo tutti invisibili.



Presi il mio flacone e uscii dalla terrazza. Le lune erano doppie, ugualmente luminose nel cielo e nell'enorme specchio d'acqua riflettente che si distendeva nel giardino. Le statue di marmo bianco allineate a i lati della piscina prendevano il bagliore del fuoco e sembrarono bruciare come torce nella notte. La vista era così ultraterrena che fui ipnotizzato da essa e dalle strane figure di Guardie Rosse immortalate nella pietra. La padrona di casa aveva preso casa qua così recentemente che alcune delle sculture erano ancora avvolte nei teli che ondeggiavano e oscillavano nella brezza gentile. Non so quanto a lungo ho guardato prima di realizzare che non ero solo.



Era così piccola e scura, non solo nella pelle ma nei suoi vestiti, che quasi la scambiai per un'ombra. Quando si girò verso di me, vidi che era molto bella e giovane, con non più di diciassette anni.



"Sei la nostra padrona di casa?" chiesi alla fine.



"Si," sorrise, arrossendo. "Ma mi vergogno di ammettere che sono molto scarsa nel ruolo. Dovrei essere dentro coi miei nuovi vicini ma penso che abbiamo veramente poco in comune."



"E' stato pienamente chiarito che sperano che anch'io non abbia niente in comune con loro," dissi ridendo. "Quando sarò a livello un po' più alto che iniziato della Gilda dei Maghi, potrebbero vedermi come più che loro uguale."



"Non capisco ancora il concetto di uguaglianza nei Cyrodiil," disse aggrottando le ciglia. "Nella mia cultura, devi provare il tuo merito, non solo aspettartelo. I miei genitori erano entrambi grandi guerrieri, come io spero di essere."



I suoi occhi andarono sul prato, verso le statue.



"Le sculture rappresentano i suoi genitori?"



"Quello laggiù è mio padre Pariom," disse indicando una rappresentazione a dimensione naturale di un uomo massiccio, nudo senza vergogna, che prendeva un altro guerriero per la gola e che si preparava a decapitarlo con una spada distesa. Era chiaramente un dipinto realistico. Il volto di Pariom era piatto, anche leggermente brutto con una fronte bassa, una massa di capelli aggrovigliati, barba corta sulle gote. C'era anche una lieve apertura nei suoi denti, che nessun scultore avrebbe sicuramente mai inventato se non per rendere giustizia alle peculiarità del modello.



"E tua madre?" chiesi, puntando una statua di una donna guerriera fiera, abbastanza tozza con una mantiglia e una sciarpa, che teneva un bambino.



"Oh no," disse ridendo. "Quella è la vecchia balia di mio zio. La statua di mia madre ha ancora un telo su di essa."



Non so cosa mi spinse ad insistere per svelare la statua che lei aveva puntato. Probabilmente, non fu altro che fato e un desiderio egoista di continuare la conversazione. Temevo che non le avessi dato un progetto, avrebbe sentito il bisogno di ritornare alla festa e sarei stato di nuovo solo. All'inizio fu riluttante. Non aveva ancora deciso se le statue avrebbero sofferto o meno del clima di Cyrodiil umido e certe volte freddo. Forse dovevano essere tutte coperte, pensava. Poteva essere che stesse solo facendo conversazione e fosse riluttante come lo ero io a finire la sosta ed essere così tanto più vicina al dover tornare alla festa.



In pochi minuti, strappammo la tela dalla statua della madre di Betaniqi. Allora è stato quando la mia vita cambiò per sempre.



Era uno spirito indomito della natura, che urlava in una lotta con una figura mostruosa deforme di marmo nero. Le sue dita sontuose e lunghe stavano scavando nel viso della creatura. Gli artigli del mostro afferravano il suo seno destro in una sorta di carezza che prefigurava una ferita mortale. Le gambe del mostro e le sue avvolte tra di loro in una battaglia che era una danza. Mi sentii annichilito. Questa donna flessuosa ma formidabile era bella oltre ogni standard superficiale. Chiunque l'avesse scolpita aveva in qualche modo catturato non solo il volto e la figura di una dea, ma il suo potere e la sua volontà. Era insieme tragica e trionfante. Mi innamorai subito e fatalmente di lei.



Non avevo nemmeno notato quando Gelyn, uno dei miei compagni iniziati che stava lasciando la vesta, venne dietro di noi. Apparentemente avevo sussurrato la parola "magnifico," perché avevo sentito Betaniqi rispondere come se fosse lontana delle miglia, "Si, è magnifico. Questo è perché avevo paura di esporla agli elementi."



Poi sentì, chiaramente, come una pietra che spezzava l'acqua, Gelyn: "Mara mi salvi. Quella deve essere Palla."



"Allora hai sentito parlare di mia madre?" chiese Betaniqi, girandosi.



"Vengo da Wayrest, praticamente sul confine con Hammerfell. Non penso che ci sia qualcuno che non abbia sentito di tua madre e del suo grande eroismo, liberando la terra di quella bestia abominevole. Morì in quella lotta, non è vero?"



"Si," disse la ragazza tristemente. "Ma lo stesso avvenne alla creatura."



Per un attimo, tutto fu silenzioso. Non ricordo nient'altro di quella notte. In qualche modo sapevo che ero invitato a cena la sera successiva, ma la mia mente e il mio cuore erano stati interamente e per sempre arrestati dalla statua. Tornai alla Gilda, ma i miei sogni furono febbrili e non mi portarono riposo. Tutto sembrava diffuso da luce bianca, eccetto una donna bellissima e terribile. Palla.


Palla. Pal La. Il nome bruciava nel mio cuore. Mi trovo a sussurrarlo nei miei studi anche quando provavo a concentrarmi su qualcosa che il Maestro stava dicendo. Le mie labbra avrebbero emesso silenziosamente il suono "Pal," e la lingua si sarebbe mossa per formare la "La" come se stessi baciando il suo spirito davanti a me. Era follia in ogni modo eccetto che conoscevo che ero innamorato di una pazzia. Sapevo che era una nobile Guardia Rossa, un grande guerriero più bella delle stelle. Sapevo che sua figlia Betaniqi aveva preso possesso di una casa vicino alla Gilda e che le piacevo, forse era persino infatuata. Sapevo che Palla aveva combattuto una terribile bestia e l'aveva uccisa. Sapevo che Palla era morta.



Come ho detto, sapevo che era follia e, per questo, sapevo che non potevo essere pazzo. Ma sapevo anche che dovevo tornare al palazzo di Betaniqi per vedere la statua della mia amata Palla che combatte quella battaglia finale orribile col mostro.



Sono tornato, più e più volte. Se Betaniqi fosse stata un tipo diverso di nobildonna, più a suo agio con gli ospiti, non avrei avuto così tante opportunità. Nella sua innocenza, ignara della mia ossessione malata, apprezzava la mia compagnia. Avremmo parlato per ore, ridendo e ogni volta facevamo una passeggiata fino alla pozza riflettente dove mi fermavo sempre davanti la statua di sua madre.



"Avete una bellissima tradizione, preservare le immagini dei vostri antenati nei loro momenti migliori," dissi, sentendo i suoi occhi curiosi su di me. "E la fattura è senza paragoni."



"Non mi crederesti," disse ridendo la ragazza. "Ma ci fu uno scandalo quando il mio bisnonno cominciò l'usanza. Noi Guardie Rosse abbiamo una grande reverenza per i nostri famigliari, ma siamo guerrieri e non artisti. Assunse un artista girovago per creare le statue migliori e ognuno le ammirò finché non fu rivelato che l'artista era un elfo. Un Altmer dall'Isola di Summerset."



"Scandalo!"



"Lo è stato, assolutamente," Betaniqi annuì seriamente. "L'idea che le mani corrotte e pompose di un elfo avevano formato quelle figure di nobili guerrieri Guardie Rosse era impensabile, profana, irriverente e tutto quello di malvagio che tu puoi immaginare. Ma il cuore del mio bisnonno era nella sua bellezza e la sua filosofia di usare il meglio per onorare i migliori continuò fino a noi. Non avrei nemmeno pensato di assumere un artista minore per creare le statue dei miei genitori, anche se fosse stato più aderente alla mia cultura."



"Sono tutte squisite," dissi.



"Ma apprezzi soprattutto quella di mia madre," disse sorridendo. "Vedo che la guardi anche quando sembri guardare le altre. E' anche la mia preferita."



"Mi diresti di più di lei?" chiesi, tentando di tenere la voce leggera e informale.



"Oh, lei avrebbe detto che non era niente di straordinario ma lo era," disse la ragazza, prendendo un fiore dal giardino. "Mio padre morì quando ero abbastanza giovane e aveva molti ruoli da adempiere, ma li fece tutti senza sforzo. Abbiamo molti grandi interessi economici e fu brillante a gestire il tutto. Certamente migliore di come sono io adesso Bastava il suo sorriso e tutti obbedivano e quelli che non lo facevano lo pagavano a caro prezzo. Era molto arguta e incantatrice, ma era anche una forza formidabile quando sorgeva il bisogno di combattere. Centinaia di battaglie, ma non posso ricordare un momento in cui mi sia sentita negletta o non amata. Pensavo che fosse letteralmente troppo forte per la morte. E' stupido, lo so, ma quando andò per combattere quella -- quella orribile creatura, quel mostro uscito dal laboratorio di un mago pazzo, non ho mai pensato che non sarebbe tornata. Era gentile verso i suoi amici e spietata con i suoi nemici. Cosa posso dire in più di questo su di una donna?"



Gli occhi della povera Betaniqi si riempirono di lacrime mentre ricordava. Che razza di villano sono stato a spingerla in quel modo per soddisfare i miei desideri perversi? Sheogorath non poteva mettere più in conflitto un mortale rispetto a me. Mi trovai insieme piangente e pieno di desiderio. Palla non solo sembrava una dea, ma dalla storia di sua figlia, lo era.



Quella notte mentre mi spogliavo per andare a letto, riscoprì il disco nero che avevo rubato dall'ufficio del Maestro Tendixius settimane prima. Avevo quasi dimenticato la sua esistenza, quel misterioso artefatto necromantico che il mago riteneva potesse resuscitare un amore morto. Quasi per istinto, mi trovai a mettere il disco sul cuore e sussurrare, "Palla."



Un freddo momentaneo riempì la mia stanza. Il mio fiato restò nell'aria in una nebbia prima di dissiparsi. Spaventato gettai il disco. Ci volle un momento prima che la mia ragione tornò e con essa la conclusione inevitabile: l'artefatto poteva realizzare il mio desiderio.



Fino alle prime ore della mattina, tentai di sollevare la mia signora dalle catene dell'Oblivion, ma non fu utile. Non ero un necromante. Pensai a come chiedere a uno dei Maestri di aiutarmi ma mi ricordai come il Maestro Ilther mi aveva ordinato di distruggerlo. Mi avrebbero espulso dalla Gilda se fossi andato da loro e avrebbero distrutto loro stessi il disco. E con esso, la mia unica chiave per riportare da me il mio amore.



Ero nella mia solita condizione di semi torpore il giorno dopo in classe. Il Maestro Ilther stesso stava facendo lezione sulla sua specialità, la Scuola dell'Incantamento. Era un oratore piatto con una voce monotona ma improvvisamente mi sentii come se ogni ombra avesse lasciato la stanza e fossi in un palazzo di luce.



"Quando la maggior parte delle persone pensano alla mia particolare scienza, pensano al processo dell'invenzione. L'infondere incantesimi e magie negli oggetti. La creazione di una spada magica, magari, o di un anello. Ma l'incantatore abile è anche un catalizzatore. La stessa mente che può creare qualcosa di nuovo può anche causare un potere maggiore da qualcosa di vecchio. Un anello che può generare calore per un novizio, in mano a un simile talento può cuocere una foresta." Il ciccione ridacchiò dicendo: "Non che stia sostenendo ciò. Lasciatelo alla Scuola della Distruzione."



Quella settimana a tutti gli iniziati fu chiesto di scegliere un campo di specializzazione. Tutti furono sorpresi quando voltai le spalle al mio vecchio amore, la Scuola dell'Illusione. Mi sembrava ridicolo che mi fossi affezionato a degli incantesimi così superficiali. Tutto il mio intelletto era ora focalizzato sulla Scuola dell'Incantamento, attraverso la quale potevo liberare il potere del libro.



Per i mesi seguenti, dormii a malapena. Poche ore alla settimana, le avrei spese con Betaniqi e con la mia statua per darmi forza e ispirazione. Tutto il resto del mio tempo era passato col Maestro Ilther o i suoi assistenti, imparando tutto quello che potevo sull'incantamento. Mi insegnarono come assaporare i livelli più profondi della magia contenuta in un oggetto.



"Un semplice incantesimo lanciato una volta, non importa quanto abilmente e nemmeno in modo quanto spettacolare, è effimero, del presente, ciò che è e niente di più," sospirò il Maestro Ilther. "Ma messo in una casa, si sviluppa in un'energia quasi vivente, che matura cosicché solo la sua superficie è toccata quando una mano non esperta la maneggia. Devi considerarti come un minatore che scava sempre più in profondità per tirar fuori il vero cuore dell'oro."



Ogni notte quando il laboratorio chiudeva, mettevo in pratica ciò che avevo imparato. Potevo sentire crescere il mio potere e, con esso, il potere del disco. Sussurrare "Palla," entravo nell'artefatto, sentendo ogni lieve tacca che segnava le rune e ogni sfaccettatura delle gemme. Certe volte ero così vicino a lei, che sentivo delle mani che toccavano le mie. Ma qualcosa di oscuro e bestiale, la realtà della morte suppongo, entrava sempre nell'alba del mio sogno. Con esso arrivava un forte odore putrido, di cui gli iniziati nelle stanze vicino alla mia cominciarono a lamentarsi.



"Qualcosa deve essere entrato nelle tavole del pavimento e deve essere morto," dicevo in modo poco convincente.



Il Maestro Ilther apprezzava il mio rendimento e mi permise di usare il suo laboratorio fuori orario per proseguire i miei studi. Qualunque cosa imparassi, Palla sembrava avvicinarsi in modo scarso. Una notte, tutto finì. Stavo barcollando in un'estasi profonda, mormorando il suo nome, il disco che illividiva il mio petto, quando un lampo improvviso attraverso la finestra ruppe la mia concentrazione. Una tempesta furiosa riecheggiò sopra Mir Corrup. Andai a chiudere le finestre e quando tornai al tavolo, vidi che il disco si era rotto.



Scoppiai in singhiozzi isterici e poi risate. Era troppo per la mia mente fragile sopportare una simile perdita dopo così tanto tempo e studio. Il giorno successivo e quello dopo, li passai nel mio letto, in preda alla febbre. Non fosse stata una Gilda dei Maghi con così tanti guaritori, sarei probabilmente morto. In questo caso, fornii uno studio eccellente per i giovani studenti.



Quando finalmente fui abbastanza in salute da poter camminare, andai a visitare Betaniqi. Era incantevole come sempre, non commentando mai sul mio aspetto, che doveva essere spettrale. Alla fine le diedi una ragione di preoccuparsi quando declinai gentilmente ma fermamente di camminare con lei lungo la pozza riflettente.



"Ma ami vedere le statue," esclamò.



Sentì che le dovevo la verità e molto altro. "Cara signora, amo più delle statue. Amo tua madre. E' tutto quello a cui ho potuto pensare da mesi, da quando io e te abbiamo tolto per la prima volta il telo da quella scultura benedetta. Non so cosa pensi ora di me, ma sono stato ossessionato dal voler imparare come riportarla indietro dalla morte."



Betaniqi mi guardò con gli occhi spalancati. Alla fine parlò: "Penso che tu debba andare ora. Non so se questo sia un terribile scherzo--"



"Credimi, vorrei che lo fosse. Vedi, ho fallito. Non so perché. Non posso dire che il mio amore non era abbastanza forte perché nessun uomo aveva un amore più forte. Forse la mia abilità come incantatore non è da maestro ma non è stato per la mancanza di studio!" Potevo sentire la mia voce che si alzava e capii che stavo iniziando a tuonare, ma non potevo trattenermi. "Forse il fallimento è perché tua madre non mi ha mai incontrato ma penso che solo l'amore del mago è considerato nell'incantesimo necromantico. Non so cos'era! Forse quell'orribile creatura, il mostro che l'ha uccisa, le lanciò qualche tipo di maledizione col suo ultimo respiro! Ho fallito! E non so perché!"



Con una sorprendente scarica di velocità e forza per una donna così piccola, Betaniqi si lanciò contro di me. Urlava, "Vattene!" e scappai attraverso la porta.



Prima che chiudesse la porta, offrì le mie scuse patetiche: "Mi dispiace tanto, Betaniqi, ma pensa che volevo riportarti tua madre. E' una follia, lo so, ma c'è solo una cosa certa nella mia vita ed è che amo Palla."



La porta era quasi chiusa ma la ragazza aprì una fessura per chiedere tremando: "Ami chi?"



"Palla!" gridai agli Dei.



"Mia madre," sussurrò in modo irato. "Si chiamava Xarlys. Palla era il mostro."



Guardai la porta chiusa per sa Mara quanto tempo e poi cominciò la lunga camminata di ritorno verso la Gilda dei Maghi. La mia memoria cercò nelle minuzie alla notte di Tales e Tallows di così tanto tempo fa quando vidi per la prima volta la statua e sentì per la prima volta il nome del mio amore. Quell'iniziato Bretone, Gelyn, l'aveva detto. Era dietro di me. Aveva riconosciuto la bestia e non la donna?



Girai la curva solitaria che s'intersecava coi confini di Mir Corrup e una grande ombra si alzò dal suolo dove stava seduta ad aspettarmi.



"Palla," Gemetti. "Pal La."



"Baciami," ululò.



E questo porta la mia storia al presente. L'amore è rosso, come il sangue.

Edited by traditore91 - 2/3/2015, 15:15
 
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