| CITAZIONE (Ffff4f @ 21/8/2021, 11:28) CITAZIONE (Shi no Tenshi @ 21/8/2021, 11:24) In un universo di mia creazione, pseudo-steampunk (perché c'è la magia) quindi praticamente la Londra vittoriana Poi non ti entro nei dettagli, ma fondamentalmente oltre il nostro mondo è diviso dall'Oltremondo dal Velo, una sorta di "barriera spiritica" La magia viene da oltre il Velo, così come Demoni e fantasmi, e l'uso sconsiderato della magia può avere effetti sul Velo e quindi fare "leakare" l'Oltremondo nel nostro piano. Anche a me piace l'era vittoriana, bravo Shi Quindi il velo è un po' quello di Dragon Age? Ora che mi ci fai pensare si, è simile ??? (Progetto Principale), prologo e capitolo 1 Prologo
La figura incappucciata apparve nel mezzo della pianura deserta accompagnata da un boato simile al rombo di un tuono. Si spazzolò le vesti nere che la coprivano, si asciugò la fronte e si tirò giù il cappuccio. Era da solo, apparentemente. “Ho risposto al vostro invito! Facciamo in fretta, senza perdere tempo in inutili giochetti.” urlò, rivolto verso il nulla che si estendeva davanti ai suoi occhi. “Oh… ti sei fatto osservante nel tempo.” esclamò una voce proveniente dal nulla davanti a lui. L’uomo strinse i denti “Basta. Giochetti. Non ho intenzione di ripeterlo una terza volta,” Una risata sguaiata echeggiò nella pianura mentre l’aria tremolava come in un’afosa giornata estiva e cinque figure facevano la loro comparsa davanti all’uomo in nero: tre uomini e due donne, ognuno indossante una veste di diverso colore. La donna più a destra una veste rossa, la sua compagna all’estrema sinistra una veste azzurra. I due uomini al loro fianco indossavano, rispettivamente, una veste marrone e una verde, mentre l’uomo al centro indossava una veste nera, allo stesso modo del nuovo arrivato. “Medraut.” si limitò a dire il primo uomo, semplicemente riconoscendo la presenza dell’altro con voce arida “Nimue. Ysolt. Hector. Caomh.” continuò, rivolgendosi a ognuno dei presenti. “Qual è il problema, Adam? Non sei contento di rivedere… dei vecchi amici?” lo stuzzicò la donna in blu, Nimue, con una voce ripiena di sarcasmo. Adam, dal canto suo, si limitò a stringere ulteriormente i denti. “Oh, suvvia, Nimue, non stuzzicarlo troppo” si inserì l’uomo dalle vesti verdi, Hector “D’altronde ha appena dovuto separarsi dalla sua famiglia… o da quello che ne rimaneva, per lo meno.” concluse, prima di scoppiare in una grassa risata come se ciò che aveva detto fosse stata una qualche geniale battuta che solo lui aveva capito. Rise ancora per un paio di minuti, prima di interrompersi per tossire “Ti è piaciuto, eh Adam?” tossì ancora un paio di volte “Ysolt ha fatto un ottimo lavoro, sai? Dai ragazza, raccontaglielo.” Ysolt, in rosso, scoppiò anche lei in una, assai più breve ma anche assai più acuta, risata “Vero, vero! Non so perché la gente si ostini a costruire in legno, brucia così bene… E avresti dovuto sentirli urlare! I ragazzi soprattutto…ah… delizioso… ” concluse, sospirando lasciva. Adam chiuse gli occhi e strinse i pugni. E, come in risposta alla rabbia bruciante che gli stava pervadendo il corpo, una vampata di fiamme si generò nel nulla e si scagliò verso la ragazza. Solo per finire a impattarsi contro una lastra di roccia, che si dissolse subito dopo. Opera di Caomh, ovviamente. “Oh no Adam, oh no. Ti abbiamo chiamato qui per combattere, certo, ma questo non vuol dire che puoi iniziare tu. Vero, capo?” rispose l’uomo dalle vesti color terriccio, interpellando per la prima volta il mago dalle vesti oscure. Mago che sorrise e iniziò ad avvicinarsi all’altro. “Dai, ragazzi, non si fa così. Bisogna avere un minimo di rispetto per i morti” iniziò, chiudendo rapidamente la distanza che lo separava da Adam “O sbaglio, eh ragazzone? Non vorresti un po’ di rispetto per la tua povera moglie e per i tuoi poveri, poveri figli?” chiese, arrivando quasi a sussurrarglielo nell’orecchio. Adam non rispose. “Non vuoi parlare, eh? Ti capisco. Ma te lo si legge negli occhi! Facciamo le cose per bene: Ysolt, chiedi scusa al nostro ospite.” La donna gli restituì uno sguardo attonito “Scusa?” “Certo, scusa!” esclamò Medraut, staccandosi improvvisamente e dando le spalle alla sua cricca “Scusa per aver lasciato delle ossa da seppellire. Alimenta il dolore, sai?” Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Adam non lanciò incantesimi, non evocò il potere degli elementi e nemmeno sfoderò la la spada che portava al fianco: marciò semplicemente verso Medraut, con ancora lo stesso fastidioso sorriso stampato sul volto, e lo colpì con un pugno in mezzo alla faccia. La forza dell’urto lo fece ruzzolare a terra, dove rimase per un paio di secondi stringendosi il volto sanguinante, per poi rialzarsi e rivolgergli uno sguardo carico d’odio “E io ghe bensavo fosdi una bersona ragionevole” sibilò il naso rotto e le labbra tumefatte che distorcevano la pronuncia “Uggidedelo!” La prima a venirgli addosso fu, ovviamente, Ysolt, scaricandogli contro una lancia di puro fuoco, che però Adam si limitò a far svanire con un colpo della sua spada. E a nulla servirono gli altri colpi della donna: ogni singolo incantesimo si infranse sulla lama dell’uomo in nero. Lama che l’avrebbe ben presto trafitta, se non fosse stato per una muraglia in terra che prima emerse tra i due e poi si espanse fino a ricoprire completamente Adam come una cupola. Ma, ahimè. Nemmeno quella durò troppo: iniziò ben presto a deformarsi, come se qualche forza stesse spingendo dall’interno, per poi creparsi. Non passò troppo tempo prima che le crepe si espandessero a dismisura, facendo letteralmente sbriciolare la cupola in centinaia di migliaia di pezzi. Adam spostò la sua attenzione verso il geomante, ma non sarebbe stato facile: tentacoli d’acqua, “gentile concessione” di Nimue, gli avvolsero braccia e gambe, immobilizzandolo, mentre Hector faceva addensare le nubi sopra il suo capo. Una luce illuminò la pianura mentre il tuono rombava e un fulmine pioveva direttamente sull’uomo. Uomo che, tuttavia, non sembrava essere messo peggio di poco prima, anzi: le sue mani, adesso, rifulgevano di scintille elettriche. “È TUTTO QUESTO QUELLO CHE SAPETE FARE?!” ruggì, mentre afferrava i legacci liquidi e spediva il fulmine che lo aveva colpito verso la donna in blu. Nimue urlò e cadde a terra, la sua magia immediatamente trasformata in poco più che vapore “SIETE DEBOLI!” continuò, rivolgendosi agli altri tre. Hector, probabilmente non pago del fallimento di poco prima, stava cercando nuovamente di evocare il fulmine contro il loro nemico, mentre Ysolt era dietro di lui in attesa che completasse l’incantesimo e Caomh stava iniziando a muoversi verso la l’idromante. Adam scosse la testa “Ancora il fulmine? Non hai imparato nulla poco fa? COSÌ DEVI FARE!” urlò, afferrando la sua spada come fosse un giavellotto e lanciandola contro il mago in verde. La lama trafisse l’uomo all’altezza del polmone destro, cosa che l’avrebbe ucciso in un paio di minuti al massimo, ma Adam non aveva ancora finito: stese una mano davanti a sé, dal cui polso era ben visibile una sorta di bracciale con un pezzo di cristallo viola che pendeva “Questo è il fulmine: Fulmen, ego te advoco. Caede!” esclamò, mentre la zona veniva praticamente illuminata a giorno e un fulmine cadeva esattamente sulla spada che sporgeva dal petto di Hector. Ysolt iniziò a urlare, ma non era lei che interessava ad Adam: Caomh era finalmente arrivato da Nimue e stava cercando di prestarle soccorso. L’uomo scosse la testa, divertito “Lasciala perdere. È già morta.” sussurrò per poi stendere nuovamente la mano. “Tellus, vora.” declamò, chiudendo subito dopo il pugno: immediatamente tentacoli di pura roccia emersero dal terreno, aggrappandosi a Caomh e iniziando a trascinarlo sotto terra con loro. L’uomo provò a divincolarsi, ma fu tutto inutile: ben presto sparì nel nulla, nemmeno le sue urla più udibili. “E adesso… ” continuò Adam, rivolgendosi finalmente verso Ysolt: la donna non provò nemmeno ad allontanarsi, completamente rassegnata al suo destino. “Spero faccia male” le disse, la voce ridotta a un sussurrò strozzato, prima di afferrarle il volto con la mano “Ignis, animo eius exede”. La donna iniziò a contorcersi a terra, come in preda a spasmi irrefrenabili, per poi iniziare nuovamente a urlare. Per poco: ben presto fiamme iniziarono ad eruttare dalla sua bocca. E poi dal naso. E dagli occhi. In pochissimi secondi non era rimasto altro che un cadavere carbonizzato avvolto in quelle che una volta sarebbero potute essere delle vesti rosse. Adam si lasciò andare a un sospiro soddisfatto. Ma non era ancora finita. Un suono metallico alla sua sinistra lo riportò alla realtà, seguito dall’inconfondibile fischio di qualcosa che si sta muovendo velocemente nell’aria: l’uomo si girò per vedere un dardo di balestra infrangersi poco lontano da lui. Scagliato ovviamente da Medraut, che poco ontano era impegnato nel caricare un secondo proiettile. L’uomo in nero si lasciò scappare una risata mentre allungava la mano verso il dardo. “Tempus, morare!” esclamò: la luce poco lontano da lui sembrò distorcersi, come se quel pezzo di spazio fosse immerso in una sala con numerosi specchi di forma strana… e il secondo quadrello, non appena ne fu all’interno, si fermò completamente. “Medraut, metti via quella balestra prima che debba ricorrere a soluzioni molto meno eleganti” mormorò, ancora senza guardare nella direzione dell’altro. L’arma venne gettata a terra. “Entrambi abbiamo studiato per anni il fantomatico quinto elemento. Eppure io l’ho trovato… E tu no. Sai il perché?” Medraut tacque. “Perché la tua interpretazione è sbagliata. Per te il quinto elemento era l’Etere, la pienezza. Ma… no, no. Non ci sono giustificazioni. Sei un idiota.” Adam fece un profondo respiro “Il quinto elemento è il Vuoto. L’assenza di ogni cosa. Assenza di fuoco, di acqua, d’aria e di terra. Assenza di tempo” fece un cenno con la mano al quadrello fermo a mezz’aria “Assenza di vita.” “I-in ghe senso assenza di vida?” balbettò il secondo uomo, terrorizzato. Adam finalmente si girò a guardarlo “Questo” mormorò, puntandogli un dito contro “Mors” sussurrò. Senza un’altra parola, Medraut cadde a terra. Morto. Adam sputò per terra “E, per la cronaca, Adam è il mio secondo nome.” mormorò al cadavere, prima di sussurrare un ultimo incantesimo e sparire così com’era arrivato. Capitolo I
In quella sera di ottobre, nemmeno la luna splendeva sul piccolo cimitero, in quella semisconosciuta cittadina di nemmeno quattromila abitanti in quell’ambito sperduto di Giappone. Cimitero che, visto l’orario, era quasi completamente vuoto, tranne che per una figura solitaria: un giovane adulto, più o meno sui venticinque anni, avvolto in un cappotto scuro, in piedi davanti a una scarna tomba. “Quindi… uno zio? Non mi aspettavo che la famiglia arrivasse fin qui… ” mormorò l’uomo, prima di voltarsi e abbandonare il cimitero: poco fuori lo aspettava un taxi con la portiera aperta, sul quale il giovane salì. “La ringrazio per aver aspettato… Non lo conoscevo, ma è pur sempre un parente, per quanto lontano. Non me la sentivo di lasciarlo lì senza passare.” Il tassista non rispose, limitandosi a un cenno con la testa. Probabilmente sapeva abbastanza inglese da capire cosa aveva detto, ma non abbastanza da rispondergli. O magari non gli importava. Ad essere sinceri, non importava troppo nemmeno al ragazzo.
Il viaggio procedette in silenzio per tutti i quaranta minuti che separavano il cimitero dalla destinazione dei due: una tenuta nemmeno troppo piccola, in classico stile giapponese, dall’altra parte dell’isola. Il ragazzo scese dall’auto, pagò il tassista, scaricò le proprie valigie e osservò l’uomo fare manovra e allontanarsi dalla strada da cui erano venuti. Il giovane si strinse nel proprio cappotto, rabbrividendo per una folata di vento più fredda delle altre, per poi infilare una mano in tasca e tirare fuori la ragione per cui si trovava in quell’angolo di Giappone in quel momento: una lettera indirizzata a lui, firmata dall’Ospedale Civile di Nakagawa. Si limitò a fissarla, evitando di leggerla per l’ennesima volta: sapeva già cosa vi avrebbe trovato. Mattew Colville, cugino di sua madre a quanto pareva, era morto da poco e nel suo testamento aveva lasciato tutto quello che aveva, ossia la sua tenuta e quello che rimaneva nel suo conto bancario, al suo parente più prossimo. Che, visti gli accidenti che avevano colpito la sua famiglia negli ultimi anni, altri non era che lui: Gabriel Voss, 25 anni. Gabriel sospirò, riponendo nuovamente la lettera e afferrando il mazzo di chiavi che gli avevano consegnato in ospedale, per poi afferrare il proprio bagaglio e aprire la porta.
La casa era fredda, assai fredda, e parecchio polverosa: era palese che nessuno ci avesse messo piede da quando il vecchio era stato ospedalizzato, chissà quanto tempo prima. Una veloce ispezione confermò che la dispensa era vuota, tranne che per qualche pacco di biscotti ormai muffito, ma le utenze funzionavano ancora. Elettricità, acqua e gas, per lo meno, ma nessuna traccia di riscaldamento centralizzato. Un camino, questo si, con anche una legnaia ben rifornita. E, con somma sorpresa del ragazzo, una vecchia motocicletta nascosta da un telo stipata assieme alla legna. Gabriel provò ad avviarla: funzionava, e il vecchio aveva anche un paio di taniche di benzina poco lontano. “Beh, almeno ho un modo di muovermi… Per quanto mi dispiaccia vendere anche questa assieme alla casa. Ma non ho modo di riportarla in Germania… ” si disse, parlando ad alta voce più per superare la solitudine che per altro. Non aveva idea di come avesse potuto sentirsi il vecchio, da solo in quel posto per anni.
Decise di ordinarsi del ramen per cenare, ringraziando sempre profusamente l’esistenza di Google Translate, e mettersi a pulire almeno la camera da letto mentre aspettava. Nei giorni successivi avrebbe pulito anche il resto, soprattutto perché non poteva presentare a un eventuale acquirente una casa polverosa, ma per quella sera voleva soltanto mangiare e andare a dormire. Il giorno dopo si alzò di buona lena, pulì un altro po’ la casa e si diresse in città, con l’intento di passare in banca e fare della spesa per non essere costretto a mangiare ramen per tutto il periodo che avrebbe passato in Giappone. Alla banca protestarono abbastanza quando disse di voler svuotare il conto del vecchio, ma alla fine accettarono, consegnandogli quelli che convertiti ammontavano a poco più di tremila euro. Una buona somma, senza dubbio, ma un ennesimo segno dello stato affatto roseo in cui si trovava il vecchio. Oh beh, non che potesse farci molto adesso.
Fattola spesa, cucinato, mangiato e pulito un altro pezzo di casa, Gabriel non aveva molto da fare. Certo, avrebbe potuto continuare a pulire, ma semplicemente non se la sentiva. No, si sarebbe andato a fare un giro in città. Salendo sulla motocicletta, il casco che aveva comprato quella mattina per sostituire quello a dir poco arcaico che aveva trovato nella legnaia pronto a essere infilato, si prese un momento per darsi un’occhiata sullo specchietto. Il volto che gli restituì lo sguardo era uno stanco, con evidenti occhiaie sotto gli occhi verde sporco che aveva ereditato da suo padre, incorniciato da una manciata disordinata di corti capelli scuri. Gabriel sospirò, strofinandosi un paio di volte gli occhi, per poi mettersi il casco e montare in sella. Era stato un periodo duro, quello che lo aveva portato in Giappone. Il giornale per cui lavorava, rigorosamente online dalla pandemia di quattro anni prima, era stato chiuso per mancanza di fondi. Aveva provato a cercare un nuovo lavoro, ma senza successo, e adesso era anche dovuto volare dall’altra parte del modo per prendersi cura degli affari di un parente di ignorava perfino l’esistenza. Non ci mise molto a raggiungere il centro della città. Nakagawa, per fortuna, non era una città particolarmente grande: situata su di un’isola al centro di un lago al centro di un’altra isola, Toshimako, era l’archetipo di una cittadina rurale in cui la gente di città va a passare le vacanze. Le uniche cose che spiccavano erano l’Università, a quanto pare abbastanza rinomata, e la biblioteca pubblica, che si trovava praticamente al centro della città.
Parcheggiò la moto nel primo parcheggio disponibile, poco lontano dal campus universitario, si assicurò che la catena che aveva comprato il giorno prima reggesse, per quanto Nakagawa avesse un livello di criminalità praticamente inesistente era sempre meglio non rischiare, e si incamminò verso il centro. L’università era collegata alla biblioteca da due strade: una, più corta, che lo faceva passare per il centro e un’altra, più lunga, che imboccava una serie di viuzze più labirintiche che però culminavano in un parco praticamente dietro alla biblioteca. Non c’erano dubbi: sarebbe passato per il parco. Mentre camminava, tuttavia, iniziò ad avvertire una strana sensazione: all’inizio era semplicemente un vago malessere, una pesantezza alla bocca dello stomaco, ma più andava avanti più la sensazione peggiorava. Passò da un vago malessere a un vero e proprio groppo in gola, accompagnato da un’ansia per un non ben specificato evento che lo aspettava più avanti, fino a raggiungere la vera e propria paranoia: più volte si guardò alle spalle, senza trovare però mai traccia di nessuno. Continuò tuttavia ad avanzare, in un certo senso sempre più curioso di quella strana sensazione, fino a ritrovarsi in un piccolo spiazzo di collegamento tra una via e l’altra. Davanti a lui si trovavano due individui, un uomo e una donna, entrambi asiatici, lui di qualche anno più grande di lei, ma comunque parecchio giovane. La ragazza sembrava essere sui diciott’anni, mentre l’altro doveva avere più o meno l’età di Gabriel. Stavano discutendo, in maniera anche abbastanza animata, in giapponese, e pertanto Gabriel non aveva la minima idea di cosa stessero discutendo. Fece per superarli, ma appena mosse il primo passo verso di loro la sensazione che lo aveva accompagnato fino a quel momento tornò a farsi sentire a piena forza, stavolta come vero e proprio panico: si fermò improvvisamente sui suoi passi, talmente terrorizzato da qualcosa che non poteva vedere ma che percepiva benissimo da non riuscire più a respirare per un secondo abbondante. Si ritrovò a boccheggiare, inspirando talmente rumorosamente che i due riuscirono a sentirlo: si girarono addirittura a guardarlo, la ragazza con un’espressione vagamente preoccupata sul volto, per poi tornare a fronteggiarsi quando lui gli fece cenno di star bene. L’uomo disse un’ultima frase, alla quale la ragazza non rispose, per poi voltarle le spalle e allontanarsi in una viuzza laterale. Con la scomparsa dell’uomo, Gabriel notò immediatamente il panico diminuire, fino a svanire completamente dopo nemmeno un minuto. Aveva ancora un leggero malessere, tuttavia, e nessuna voglia di scoprire perché quell’uomo gli aveva provocato una reazione talmente forte: fece quindi per continuare per la propria strada, il più velocemente possibile, venendo però fermato con un cenno dalla ragazza. “Ehm… ” iniziò lui, incerto sul perché lo avesse fermato. Certo, quando l’aveva guardato sembrava preoccupata, ma lui aveva anche fatto cenno di non preoccuparsi. Cosa voleva? “… posso aiutarti?” chiese, sperando capisse l’inglese. La ragazza non rispose, limitandosi a fissarlo, dandogli la possibilità di osservarla per bene: era molto più bassa di lui, a occhio poco più di un metro e sessanta contro il suo metro e novanta abbondante, capelli neri portati lunghi, carnagione chiara e con indosso quella che il suo occhio poco allenato immaginava essere un’uniforme scolastica formata da una camicia bianca e una gonna scura. Quasi stereotipica, se non fosse per il paio di penetranti occhi azzurri che lo stavano fissando. “Parli inglese? Hai bisogno di qualcosa?” chiese di nuovo, facendo anche per andarsene. Quella ragazza lo inquietava. Meno dell’altro tipo, ma lo inquietava. “Si, mi scusi” rispose improvvisamente lei, fermandolo nuovamente. La situazione era sempre più inquietante. “Volevo solo chiederle come stava, non sembrava molto in forma poco fa.” Gabriel decise di accennarle un sorriso: alla fine si era solo preoccupata per lui. Poteva farlo in una maniera meno inquietante, ma almeno aveva preso l’iniziativa “Tutto ok, grazie dell’interessamento. Devo aver avuto un calo di zuccheri, o qualcosa del genere.” “Un calo di zuccheri?” fece eco lei, il tono stranamente confuso “Sembrava che le mancasse l’aria. È sicuro di star bene? Devo chiamarle un’ambulanza?” chiese, il tono leggermente più preoccupato di poco prima. Per un secondo, Gabriel giurò di averla vista gettare un occhio alle sue spalle, seguito immediatamente da uno al suo polso destro. “No, no, veramente, sto bene… Se non era un calo di zuccheri sarà il jet-lag, che venire fin qui dalla Germania non deve avermi fatto proprio bene.” rispose lui, di nuovo facendo per andarsene. Per qualche motivo, uno strano formicolio dietro la nuca, sentiva di dover andare via da lì… e in fretta. Di nuovo la ragazza lo fermò “È sicuro? Potrebbe avere altri problemi, le converrebbe davvero farsi controllare. O almeno sedersi! Guardi, mi permetta almeno di accompagnarla a un bar qui vicino, davvero, per il suo bene.” Il formicolio stava crescendo, e con esso l’irritazione di Gabriel “Senti, ragazzina, ti ho detto che sto bene, davve-” Si fermò a metà frase: un’altra sensazione di terrore come quella di poco prima l’aveva attraversato. La ragazza aveva evidentemente sentito qualcosa di simile: cambio immediatamente espressione, facendosi serissima e tirandosi indietro la manica destra dell’uniforme, rivelando una catenina metallica da cui pendeva quello che pareva essere una piccola pietra bianca perfettamente sferica. “Stai giù!” gli urlò, per poi estendere il braccio oltre di lui. Gabriel non stette a girarsi: fece semplicemente quello che gli era stato detto, accucciandosi a terra, mentre la ragazza pronunciava qualcosa in una lingua che non riconobbe. Rumore di urti su qualcosa di metallico arrivò alle sue spalle, e con essi la curiosità: azzardandosi a guardare nella direzione da cui era arrivato, Gabriel vide due uomini incappucciati, con indosso quelle che parevano essere delle semplici felpe nere e delle mascherine di stoffa a coprire il volto, e, soprattutto, una barriera traslucida color ambra che si ergeva tra lui e i misteriosi individui. L’individuo alla sua destra fece un cenno al compagno, che stava puntando loro quello che Gabriel era sicuro di riconoscere come un cellulare, e avanzò verso di loro, scoprendosi il volto fino a rivelare un uomo sulla trentina, biondo e con una corta barba a coprirgli le guance e il mento. Infilò una mano in tasca, estraendovi un paio di occhiali scuri e un pacchetto di sigarette. Inforcò gli occhiali, tirò fuori una sigaretta e se la accese con uno schiocco di dita. Gabriel non aveva idea di quello che stava succedendo. E la ragazza stava ancora mantenendo quello strano scudo davanti a loro. Decise comunque di alzarsi, più per la propria dignità che per altro, ricevendo però quella che era chiaramente un’occhiata insoddisfatta dalla ragazza. “Leo.” iniziò la ragazza. “Ayane.” rispose l’uomo. “Perché sei qui?” chiese lei, in inglese. Gabriel notò per la prima volta la mancanza di un accento, sia giapponese che di altro tipo: quella della ragazza era una pronuncia perfetta, da libro di testo. “Considerando che Marc ti sta tenendo ancora sotto tiro sono sicuro che puoi immaginare benissimo perché siamo qui.” rispose l’altro, ‘Leo’, in un inglese marcato da un forte accento tedesco. Un compatriota, quindi, ma… sotto tiro? Gabriel aveva sentito dei rumori metallici, certo, ma l’altro uomo, Marc, aveva un cellulare in mano, non un’arma. “Ah, quindi Tatsuya ha provato a reclutarmi perché voi due eravate l’alternativa che mi aspettava se avesse fallito?” “No, non proprio” rispose Leo, prendendo la sigaretta tra due dita e puntandola contro i due “eravamo nei paraggi, certo, ma cercare di reclutarti era un’idea di Tatsuya. Il boss sapeva che non ti saresti schiodata dalla fazione del vecchio. No, eravamo qui per lui.” concluse, spostando immediatamente lo sguardo su Gabriel. L’uomo deglutì “Me?” chiese, la voce poco più che un rantolio. Leo mosse la sigaretta in aria, genericamente nella sua direzione “Si, tu. Sei il nipote di Colville, no?” Gabriel deglutì di nuovo “Co- conoscevi il vecchio?” chiese, ma Leo si limitò a muovere nuovamente la sigaretta “Conoscere? Nah, aveva il potenziale ma non ha mai praticato. Tuttavia, se le nostre fonti non si sbagliano… e raramente lo fanno, stanne certo… tu hai lo stesso potenziale. Poco, certo, ma noi non facciamo distinzioni.” mosse la sigaretta un’altra volta, prima di puntargliela direttamente al volto “Quindi che dici, vuoi unirti alla nostra allegra brigata?” concluse, lanciandogli un sorriso che mostrava più denti di uno squalo. Gabriel lo fissò per un paio di secondi, senza rispondere, per poi stringersi il ponte nasale tra due dita “Io… io non ci sto veramente capendo nulla. Potenziale? Praticato? Di cosa diamine stai parlando? Perché dovete reclutarmi? Per cosa? E soprattutto” concluse, indicando la strana barriera “che diavolo è quella?” L’altro non smise di sorridere “Si, credo che una spiegazione sia d’obbligo. Quella” indicò anche lui la barriera “è magia. Noi siamo maghi. E vogliamo reclutarti per allenarti e per uccidere i maghi che ci si oppongono.” finalmente Leo lasciò cadere il sorriso “Quindi?” Gabriel lo fissò, sconcertato “Ponendo corretto il fatto che la magia esista e io non sia impazzito di colpo… ” iniziò, ponderando bene le parole “Uccidere? Non ci penso nemmeno, razza di psicopatico.” L’altro strinse i denti in una smorfia rabbiosa “Risposta sbagliata.” sussurrò, per poi schioccare nuovamente le dita “Feuer.” Alla parola dell’altro, dall’aria apparve una scia di fumo, che ripercorse il tragitto fatto dalla sigaretta: non appena si fu ricongiunta con l’estremità cinerea, il fumo si trasformò in fuoco, che immediatamente si raccolse in delle piccole sfere e si scagliò contro di loro. La ragazza, Ayane, non si fece cogliere impreparata. Spedì la propria barriera ad intercettare le fiamme, per poi abbassarsi, raccogliere del brecciolino da terra, pronunciare una parola che Gabriel nuovamente non riconobbe, e lo lanciò verso i due: i minuscoli frammenti di cemento si ingrandirono di decine di volte, arrivando ad assomigliare più a delle stalattiti in miniatura, e puntarono i due come dotati di vita propria. Anche Leo, però, aveva i suoi asi nella manica: mormorò un’altra parola nella sua lingua madre, prese un’ennesima boccata dalla sigaretta e iniziò a soffiare fuoco sulle stalattiti come fosse stato un drago. Poco riuscirono i proiettili rocciosi a resistere, sciogliendosi a metà percorso sotto l’assalto incessante di quelle fiamme, ma non erano altro che una distrazione: non appena Ayane li ebbe lanciati, infatti, afferrò Gabriel per un braccio e iniziò a correre nella direzione opposta ai due. L’uomo si fece trascinare, ormai sicuro che la ragazza sapeva molto più di lui cosa stava facendo, lanciando però un’ultima occhiata dietro di sé: vide Leo sparire in una nube di fumo, mentre il suo compagno si metteva al loro inseguimento.
I due corsero per un paio di minuti in quella serie di vicoli che parevano infiniti, sempre con l’altro uomo, gli pareva che Leo l’avesse chiamato Marc, alle calcagna. L’inseguitore non pareva intenzionato a demordere, né a catturarli vivi: più di una volta Ayane, che sembrava avere un’ottima percezione dello spazio intorno a sé nonostante guardasse unicamente davanti, fu costretta a rallentare o modificare il proprio percorso per via di un ostacolo o di un proiettile di quello che pareva essere ghiaccio indirizzato verso di loro. Continuarono così per un paio di minuti, sempre correndo nei vicoli. Era parecchio strano quanto lunghi fossero, si rese conto Gabriel, non sembravano così estesi sulle mappe. La ragazza evidentemente ebbe la stessa idea, dato che si fermò improvvisamente, il volto cupo “Ovviamente, ovviamente. Sono stata una stupida a pensare non avresti fatto una cosa del genere. Su, fatti vedere.” disse, apparentemente al nulla, mente anche l’inseguitore si fermava e puntava nuovamente contro di loro il suo telefono. Istintivamente Gabriel si voltò verso di lui, finendo schiena a schiena con Ayane. Una risata acida riecheggiò per i vicoli, con molto più eco di quanto sarebbe dovuto esserci normalmente, mentre Leo faceva la sua ricomparsa uscendo dallo stesso vortice di fumo nel quale era scomparso. “Onestamente, Ayane” iniziò “ero convinto te ne saresti accorta molto prima. Ti ho sopravvalutato, evidentemente.” concluse, accennando un sorriso di scherno mentre prendeva una boccata dalla sigaretta. “Marc”, continuò, rivolgendosi al suo complice “occupati del novizio, io penso alla signorina.” “Oui.” rispose l’altro, per poi premere qualcosa sullo schermo, stendere la mano e farvi apparire quella che pareva una specie di lungo coltello di… vetro? no, doveva essere ghiaccio. L’uomo se lo fece girare un paio di volte in mano, con fare minaccioso, ma Gabriel sorrise mentre sentiva dietro di sé il calore delle fiamme e il rumore di qualcosa che veniva raccolto e scagliato. “Sai, non pensavo mi sarebbe mai stato utile… ” iniziò, mentre l’altro si avvicinava, reso più guardingo dalla sua particolare reazione “… ma adesso sono veramente contento di aver partecipato a tutte quelle risse, da ragazzo.” concluse, tirando su le braccia in posizione di guardia e avvicinandosi a sua volta. Sapeva di non dover lasciare all’altro il tempo di agire: già un coltello normale era pericoloso, figurarsi uno magico di ghiaccio cosa poteva fare. Tuttavia, Marc non sembrava particolarmente esperto nell’uso dell’arma che aveva creato dal nulla: quando lo vide avvicinarsi tentò un colpo laterale, facilmente schivato da Gabriel abbassandosi, ed ebbe giusto la prontezza di riflessi di tirarsi indietro d’istinto prima che il pugno dell’altro gli arrivasse sul mento. Gabriel non perse tempo, continuando a pressarlo per non farlo riorganizzare: destro, sinistro, gancio, montante, ginocchiata, altro destro, continuò così per un lungo minuto. Ma non poteva continuare ancora per molto: era decisamente fuori forma, erano almeno dieci anni che non partecipava a risse di alcun tipo e il suo avversario stava iniziando a riprendersi dalla sorpresa. Doveva chiuderla in fretta e, per sua somma fortuna, un errore di Marc glielo permise: nella sua fretta di colpirlo di colpirlo si avvicinò più di quanto avrebbe dovuto, aprendogli una strada diretta. Il destro di Gabriel lo colpì in pieno volto, seguito da un sinistro alla bocca dello stomaco. Marc barcollò all’indietro, senza fiato, e l’uomo ne approfittò per afferrargli il braccio che ancora teneva in mano il telefono e costringerlo a mollare la presa. L’apparecchio elettronico si schiantò a terra con un sonoro CRACK!, probabilmente lo schermo che si infrangeva, e nello stesso momento svanì anche il costrutto di ghiaccio. Dovevano essere collegati in qualche modo, evidentemente. Gabriel spinse via l’uomo, che finì gambe all’aria poco più distante, e si lanciò verso il telefono, afferrandolo: lo schermo era ancora acceso, seppur praticamente distrutto, cosa che gli permise di osservare quella che pareva essere la finestra di una app. Era molto semplice e minimale, composta da una serie nomi, in francese da quello che pareva, con accanto quelli che parevano delle icone cliccabili. Ne premette uno, il primo della lista e con la figurina di un’arma sopra, e nella sua mano apparve la stessa spada di ghiaccio che Marc stava impugnando fino a poco prima. L’uomo deglutì a vuoto. Come aveva detto Leo? Magia. Era tutto vero quindi, non poteva più negarlo. Così come non poteva negare che Marc si fosse rialzato e l’avesse afferrato e lanciato a terra, facendogli perdere la presa sul telefono. La spada di ghiaccio svanì nuovamente mentre l’apparecchio rotolava a pochi metri dai due. Il suo avversario, adesso sopra di lui, provò a colpirlo al volto. Gabriel si difese, cercando di rispondere a propria volta, ma con scarsi risultati: l’altro si limitò a bloccargli le braccia sopra la testa e colpirlo di nuovo. La visione si fece sfocata per un secondo, mentre Marc si preparava a colpire ancora, ma all’improvviso si sentì liberare, anche in maniera piuttosto violenta, dal peso che lo gravava. Il grugnito di dolore dell’altro gli confermò che era stato colpito da qualcosa e scagliato via. Gabriel si girò, facendosi forza sulle ginocchia e gli avambracci per tirarsi su, quando, tra il rumore del combattimento poco distante e lo stordimento che il pugno dell’altro aveva causato, riuscì a sentire la voce della ragazza. “Prendi il telefono!” gli urlò, prima di pronunciare un’altra parola in lingua sconosciuta e tornare a concentrarsi sul proprio combattimento. Le sue parole scossero Gabriel, che si guardò immediatamente intorno: l’oggetto della sua ricerca si trovava poco lontano, ancora libero. Praticamente trascinandosi sui gomiti si avvicinò e lo afferrò, scandagliando i propri dintorni: Marc era poco distante, riverso a terra, immobile, ma senza sangue. Probabilmente era stato colpito da qualcosa di contundente. O almeno così sperava. Leo, invece, era in condizioni molto migliori: praticamente intoccato, al contrario di Ayane che invece aveva parte della manica destra carbonizzata, e apparentemente ancora fresco come una rosa mentre la ragazza aveva il fiato corto. Gabriel allineò il telefono con la schiena dell’altro, premette un’icona recante un fulmine stilizzato,e pregò fortissimo che non gli si ritorcesse tutto contro. Non successe: dall’apparecchio elettronico partì una specie di proiettile verdastro, con tanto contraccolpo da quasi slogargli una spalla, che colpì il mago avversario nel centro della schiena. Finalmente Leo sembrò accusare il colpo, bloccandosi per un secondo ma permettendo ad Ayane di evocare altre rocce e finalmente costringerlo ad arretrare. L’uomo si voltò verso Gabriel, gli occhi ancora coperti dagli occhiali scuri ma l’espressione chiaramente furiosa: stava per dirigersi verso di lui, ma un rantolio lo fece voltare nella direzione del suo complice, ancora riverso a terra. “Non è ancora finita.” mormorò, per poi schioccare le dita e sparire assieme a Marc e al telefono che Gabriel aveva ancora in mano in una nuvola di fumo. Contemporaneamente, tutt’intorno a loro riecheggiò un suono come di vetri infranti e il vicolo dove si trovavano scomparve nel nulla: doveva trattarsi di qualche altra magia, ipotizzò Gabriel, perché all’improvviso si ritrovavano nel punto in cui si erano incontrati.
A minaccia finalmente sparita e senza più l’adrenalina a sostenerlo, Gabriel si sentì immediatamente molto più debole. Che fosse per lo shock, che fosse per i colpi dati e ricevuti, non lo sapeva: sapeva che all’improvviso era più stanco di quanto mai fosse stato. Barcollò lentamente verso il muro più vicino, appoggiandovisi e quasi finendo a terra quando le gambe gli cedettero, sempre sotto lo sguardo attento della ragazza. “Mmm…” mormorò lei, quietamente ma con abbastanza volume da farsi sentire “Decisamente poca, ma allo stesso tempo ha percepito anche abbastanza violentemente Tatsuya… O forse era il CAD che era tarato troppo in alto…? Beh, in ogni caso non possiamo rimanere qui… Ehi, non crollare adesso. Dobbiamo andare.” concluse, rivolgendosi improvvisamente a lui. Il tono di voce, decisamente più alto del resto della conversazione, lo scosse immediatamente dal torpore in cui stava cadendo. “Andare? Andare dove?” chiese Gabriel, mentre cercava di tirarsi via dal muro contro il quale era collassato. Senza troppa fortuna, però, cosa che costrinse Ayane a raggiungerlo e praticamente tirarlo su di peso. La cosa lo sorprese, di nuovo, ma decise che avrebbe indagato più tardi. “Non importa dove, ma dobbiamo allontanarci da qui prima che tornino. Hai una casa in città?” continuò la ragazza, squadrandolo a braccia incrociate. “Poco fuori” rispose lui, tirandosi subito dopo un leggero schiaffo sul volto per costringere il proprio corpo a svegliarsi “Perché?” chiese. La ragazza non rispose, tirando fuori un cellulare, digitare qualcosa a qualcuno e rimetterlo a posto “Perché dobbiamo stare da qualche parte finché il mio Mentore non ci raggiunge e non possiamo andare a casa mia, Leo -Leonhardt- sa dove abito, quindi casa tua è la scelta migliore. Come sei arrivato?” “Ho una vecchia moto, ma un casco solo…” iniziò, scuotendo le spalle davanti allo sguardo scocciato della ragazza “… ma suppongo non sia un problema. Forza, è qui vicino.” concluse, incamminandosi verso il proprio veicolo.
Il viaggio di ritorno fu privo di eventi, seppur decisamente più lento di quello d’andata: Ayane poteva guardarlo male quanto voleva, ma con un passeggero senza casco dietro Gabriel non si fidava a guidare tanto velocemente con dietro un passeggero senza casco. Appena arrivati, la ragazza non perse tempo nello smontare dal veicolo e marciare in casa come se fosse la padrona del posto. “Si, certo, fa come se fossi a casa tua…” mormorò Gabriel, non troppo contento della cosa, mentre scendeva a sua volta e si apprestava a fare tutto il necessario, come ricoprire la motocicletta e assicurarsi che il cancello fosse chiuso. Trovò Ayane in cucina, seduta su una delle sedie del tavolo, intenta a parlare in giapponese al telefono con qualcuno, con in mano una lattina di birra prelevata direttamente dal suo frigo. Stavolta fu il turno di Gabriel di rifilarle uno sguardo torvo, ampiamente ignorato, mentre apriva il frigo e a propria volta tirava fuori una birra, la apriva e si accomodava sulla sedia diametralmente opposta a quella della sua ospite. La conversazione della ragazza continuò per ancora un paio di minuti, in tono sempre più visibilmente frustrato, fino a raggiungere quello che Gabriel credeva essere un punto d’incontro: Ayane chiuse la chiamata, sospirò sonoramente, prese un sorso dalla lattina e finalmente rivolse la sua attenzione verso di lui. “Quindi” iniziò “immagino avrai parecchie domande.” affermò, con un tono che non lasciava spazio a eventuali dissensi. Non che ce ne fossero, Gabriel aveva veramente svariate domande da porle, ma il modo in cui era stata porta la frase altro non faceva che rafforzare il concetto. “Si, sicuramente, ma prima…” l’uomo sospirò “… ‘fa’ come se fossi a casa tua’ è un modo di dire, potevi anche chiedere prima di andarmi a guardare nel frigo.” la ragazza non rispose “Va be’, fa nulla. Iniziamo dal principio: chi sei tu? Chi erano quelli? Non solo i due che ci hanno attaccato, anche il tipo con cui stavi parlando prima che arrivassimo. Perché l’avere davanti quel tipo mi ha fatto stare così male?” Gabriel rabbrividì nel rievocare la sensazione “E poi… la magia? Come funziona? Sono riuscito a farne una… credo… ma non sono un mago. E poi quel discorso sul potenziale e sugli omicidi? In cosa diavolo sono finito?” concluse, in tedesco, stringendosi la parte alta del naso, rivolto più a se stesso che alla ragazza. Ayane prese un altro generoso sorso, scuotendo la lattina per far uscire le ultime gocce, prima di posarla sul tavolo “Allora, da dove iniziare… Beh, dalle presentazioni direi. Il mio nome è Ayane Shiraishi, mentre tu dovresti essere… Gabriel Voss, giusto?” Gabriel doveva essere parso molto sorpreso, si rese conto, perché la ragazza sorrise per la prima volta da quando l’aveva incontrata e subito aggiunse “Si, Leonhardt e i suoi non erano gli unici a tenerti d’occhio. Non ne vado particolarmente fiera… ma in questo periodo c’è bisogno di ogni Praticante possibile. Ora, per che cosa sia un Praticante… Banalmente, un mago. O Magus, per usare il termine esatto: un individuo che abbia accesso al tessuto della realtà e possa quindi modificarla a proprio piacimento.” Ayane alzò la mano destra, al cui polso svettava ancora il bracciale adornato colla pietra e la agitò mormorando qualcosa. D’improvviso, ancora prima che l’uomo potesse registrare che qualcosa era cambiato, la lattina di birra vuota si era tramutata in una lattina di sottilissima pietra. “Appunto” continuò, sorridendo nuovamente, stavolta in maniera più confidente, alla sua reazione stupita “manipolare a piacimento la realtà. Ci sono dei limiti, ovviamente, ma non è mio compito spiegarteli… non oggi, per lo meno. Poi. Si, tu sei un mago. Non particolarmente potente, certo, ma a tutto c’è un rimedio se sarai disposto a lavorarci su. Ora tu mi chiederai: ma come fai a esserne così sicura? Due motivi: il primo, che anche da solo basta, è che sei riuscito a lanciare una magia. Non avessi avuto tu nemmeno la benché minima goccia di potenziale magico, non ci saresti riuscito. La seconda, però, è l’effetto che ti ha causato la sola presenza di Tatsuya: non è raro che maghi molo potenti, come lui, abbiano una sorta di ‘aura’ intorno che causa effetti poco piacevoli a coloro più deboli di loro. Certo, quello che ha avuto su di te è stato un effetto particolarmente intenso… Ma comunque nella norma. Sto dimenticando qualcosa?” “Chi diamine fossero quei due, Leonhardt e… Marc? Mi pare.” “Giusto, giusto… Beh, partendo dalle basi, sono due maghi.” “E su questo c’erano pochi dubbi.” “Marc è abbastanza debole, più o meno sul tuo livello direi… forse qualcosa in più, ma la sostanza non cambia. Leonhardt, al contrario… beh, per metterla in termini semplici, è un mostro. È un ottimo piromante, come avrai potuto vedere… E a quanto pare da quando si è unito agli Hagalaz si è specializzato anche nelle illusioni.” “Hagalaz? La runa della grandine… o della distruzione, in senso più lato. Ma qual è il loro scopo? Perché vorrebbero uccidere qualcuno?” mormorò Gabriel, più a se stesso che all’altra, provocando però uno sguardo stupito da parte della ragazza. “Beh? Perché quella faccia?” chiese, il tono confuso, ma Ayane tornò subito a sorridere “No, nulla. Semplicemente non mi aspettavo conoscessi queste cose.” Gabriel le restituì lo sguardo confuso “Mi sono laureato in Lettere Antiche, dopotutto, è normale che sappia queste cose. Non mi stavate tenendo d’occhio?” “Beh, circa” rispose la ragazza, sospirando “ti stiamo tenendo d’occhio da quando sei arrivato in Giappone… Per quanto sapessimo della tua esistenza da quando è morto Colville. Condoglianze, a proposito… ma appunto, nulla sulla tua vita.” “Nulla della mia vita, eh? Comprensibile, non è particolarmente interessante… o meglio, non lo è stata fino a oggi pomeriggio.” l’uomo finì a propria volta la birra, per poi tornare a concentrarsi sulla ragazza “Beh? C’è altro?” L’altra si alzò, rassettandosi la gonna e, con un veloce incantesimo, ritrasformò la lattina di pietra in alluminio “teoricamente sì, ma per adesso direi che basta teoria. Ti andrebbe di vedere un po’ di pratica? Qualcosa di più… visivo, diciamo, di qualche trucchetto. E anche una possibilità per impararci a prendere mano, con la magia, se poi vorrai praticarla a tempo pieno. Seguimi.” disse, iniziando a dirigersi verso l’uscita. Gabriel la seguì, trattenendo a fatica il ghigno di soddisfazione che andava naturalmente formandoglisi in volto. La magia esisteva! E lui stava per farne! Ayane lo portò fino al cancello della proprietà, controllò fosse ben chiuso, estrasse un piccolo gessetto bianco e si girò verso di lui “Questa è un tipo di magia differente da quella che hai visto, più antica… Diciamo precedente alla magia ‘standardizzata’. Ma anche per questo accessibile a praticamente tutti.” “Come funziona?” “Molto semplice: disegnando una serie di simboli in luoghi… simbolicamente importanti, se mi perdoni la ripetizione. Questo cancello, ad esempio, è l’unico punto d’ingresso al terreno: con un Sigillo di Protezione, sarà protetto tutto il terreno. E questo è anche il motivo per cui devi farlo tu.” concluse, porgendogli il gessetto. “Io?” chiese Gabriel, curioso, accettando il gessetto. “Si, tu. È sempre per la questione del simbolismo.” Ayane lo indicò “Tu sei il padrone di casa: il sigillo sarà più potente se fatto da te. Ora, segui quello che dico…” Per i successivi cinque minuti, Ayane lo guidò nella realizzazione del sigillo, un complicato sistema di linee e simboli a lui sconosciuti. Tuttavia, mentre disegnava a terra, poteva sentire, in qualche modo, che non erano linee e simboli casuali: riusciva chiaramente a percepirne il potere crescente e intrappolato al loro interno. Concluso il disegno, l’ultimo passaggio: si procurò un taglio sul palmo della mano e fece gocciolare un po’ del suo sangue sul terreno. L’effetto fu praticamente immediato: si sentì attraversare immediatamente da un’ondata di stanchezza, simile a quando aveva utilizzato il telefono di Marc durante il combattimento di poco prima, mentre il sigillo si illuminava di una luce cremisi e l’aria oltre il cancello scintillava per un attimo come se qualcosa avesse rifratto la luce. Lo scintillio scomparve quasi immediatamente, mentre il sigillo continuò a brillare e Gabriel si piegò su se stesso, mani sulle ginocchia, il respiro affannato. “Ok, non male, mi aspettavo di peggio onestamente.” commentò Ayane, dandogli una pacca sulla spalla e aiutandolo a rimettersi dritto “Quella che hai appena fatto è un tipo di magia più antico di quello dei Foci. Più accessibile ma allo stesso tempo più stancante.” “Più… accessibile? In che senso?” chiese lui, il fiato ancora corto, mentre i due tornavano in casa. “Vedi,” iniziò Ayane “se io adesso ti dessi in mano il mio Focus, tu non potresti usarlo, dato che è calibrato esattamente per me. O meglio, potresti usarlo, con grandissimo sforzo, ma probabilmente ti uccideresti nel tentativo. Al contrario, dato che sei tu a decidere quanta energia dare a un sigillo, puoi regolarti e, beh, non morire.” I due raggiunsero nuovamente la cucina, Gabriel tirò fuori un altro paio di birre e, ancora abbastanza stordito, si accasciò sulla sedia “Focus?” chiese, finalmente, dopo un mezzo minuto abbondante. Ayane si tirò su la manica della camicia, mostrando per l’ennesima volta il braccialetto con la pietra che adornava il suo polso “Questo. Un mezzo che aiuta a… focalizzare, appunto, la magia. Normalmente uno viene donato all’inizio dell’apprendistato da parte dell’insegnante, ma è convenzione che ogni Magus se ne crei uno personale al termine dello stesso.” “Ed è… calibrato… su di te?” “Si, fa parte del processo di costruzione. Tuttavia, per quanto siano utili e abbiano praticamente rivoluzionato la magia quando furono introdotti…” Ayane sospirò “… hanno pur sempre dei problemi. Hanno bisogno di un minimo di potere, diciamo, per funzionare… cosa che ha portato a un certo elitismo nella comunità magica, per metterla in maniera elegante. Certo, ultimamente ci sono i CAD… ma non è che le cose siano cambiate più di tanto.” concluse, di nuovo parlando più a se stessa che a Gabriel. “CAD? Dubito tu ti stia riferendo al disegno tecnico digitale… e hai già nominato questo termine, quando i due sono fuggiti. C’entra per caso qualcosa con quello strano ‘telefono’?” La ragazza annuì “Si, ma non è il momento di parlarne… Ti spiegherà meglio Sieger quando passerà a prelevarci… Domattina. Certe volte lo odio, vecchio testardo maledetto… ” cominciò, passando immediatamente alla sua lingua madre e tirando fuori una trafila quasi ininterrotta di quelle che Gabriel supponeva non essere lodi per quel fantomatico Sieger. Lasciandola alla sua tirata, e constatando che iniziava a farsi abbastanza tardi, Gabriel decise che era arrivata l’ora di cena: tirò quindi fuori due contenitori di ramen istantaneo, spingendone uno nella direzione della ragazza, e iniziò a bollire l’acqua. Ayane, interrompendosi quando si vide consegnare il ramen, lo squadrò con quello che poteva solo essere uno sguardo ripieno di giudizio “Ramen? Davvero? Dovresti mangiare qualcosa di più sostanzioso, soprattutto dopo lo sforzo del sigillo.” Gabriel sospirò, il mal di testa in aumento “Forse… Ma non ho onestamente voglia di cucinare qualcosa di più elaborato, quindi ramen. Se hai altre idee, prego, la cucina è libera.” Ayane rimase in silenzio, accettando l’acqua bollente quando le venne porta e versandola sugli spaghetti. “Lo farei anche… ” iniziò, fissando la scatola con gli occhi bassi, in attesa che il ramen cuocesse “… ma non so cucinare. Non ho mai imparato… c’era Tatsuya a casa. E da quando s’è unito agli Hagalaz non sono stata a casa o allo studio di Sieger in orario pasti… ” mormorò, la voce inespressiva, ma concludendo con un sospiro palesemente carico di rimpianti. Gabriel si sentì terribile “Tatsuya… Era quel ragazzo con cui stavi parlando in città, giusto?” Ayane annuì, finalmente iniziando a mangiare “Da come ne parli sembrate molto legati… hai idea del perché si sia unito a quella gente?” la ragazza fece di no con la testa, mandando alcune gocce di brodo sul tavolo “No… È successo da un giorno all’altro. Mi sono addormentata e la mattina dopo al suo posto c’era una lettera d’addio. Diceva qualcosa sul ‘distruggere questo sistema corrotto’ e ‘trovare un modo di salvarti’… ma salvarmi da cosa? Non c’è nulla da cui debba salvarmi.” “Non ti ha spiegato nulla quando ne avete parlato?” “Di nuovo, no… Ha assicurato che era tutto per il mio bene e che dovevo unirmi a lui, affinché potesse proteggermi… ma non ha spiegato da cosa.” un altro sospiro “È sempre stato protettivo, quasi troppo, sin da quando ne ho memoria… ma questo è veramente troppo.” Gabriel ingoiò l’ultimo boccone di spaghetti “Parente?” chiese. Ayane fece no con la testa “No, non proprio… Siamo entrambi orfani, presi in custodia da Sieger… È una sorta di fratello maggiore, questo sì, ma non per legame di sangue.” Passarono il resto della serata in quasi completo silenzio, per poi ritirarsi a dormire, spossati dagli eventi.
Non era nemmeno sorta l’alba del giorno dopo quando vennero svegliati prima dallo squillare del telefono della ragazza, che rimbombò nella casa vuota, e successivamente, prima che uno dei due potesse risponder, da qualcuno che suonava un clacson in maniera fin troppo aggressiva. Gabriel, ancora mezzo addormentato, sentì Ayane imprecare in quelle che credeva fossero almeno sei lingue diverse e, arrivato in cucina dopo essersi preparato il più velocemente possibile, la vide discutere in giapponese con un altro individuo. Un uomo, sulla sessantina, calvo e sbarbato, curvo su se stesso, con addosso quello che pareva essere un camice da laboratorio. Sieger, supponeva. Quando fece il suo ingresso in cucina entrambi si girarono a guardarlo, l’uomo col camice lo indicò, Ayane annuì e subito entrambi ricominciarono a discutere. Gabriel decise che non aveva alcuna intenzione di finire in mezzo a qualsiasi fosse l’argomento, pertanto li superò agilmente per sciogliersi un po’ di caffè solubile nell’acqua e berne due tazze fredde di fila senza nemmeno un po’ di zucchero. “Allora” esordì, una volta che sentì di poter gestire la probabile assurdità della situazione “qual è il problema?” I due lo guardarono di nuovo per un paio di secondi prima che Ayane prendesse finalmente la parola in inglese “Questo cretino qui ha probabilmente avvisato tutta l’Hagalaz di dove ci troviamo.” “E come mai ciò?” “Si è teletrasportato qui con tanto di automobile. Dannazione Sieger, come t’è venuto in mente? Lo sai che lo controllano!” Gabriel inclinò la testa di lato, confuso “E cosa c’entra il fatto che mi controllino con il suo teletrasporto? E poi, se mi controllano, non dovrebbero già sapere dove mi trovo?” “È quello che sto cercando di spiegarle!” intervenne Sieger “Probabilmente sanno già che siete qui, ma non sono entrati per via del circolo… bel lavoro ragazzo, comunque, per essere una prima volta… quindi sarebbe stato inutile evitare gli incantesimi! Perché credi che abbia portato l’auto, Ayane? Così possiamo andarcene senza allarmarli!” La ragazza sbuffò, stringendosi la fronte tra le dita “Si, va bene, ma… arg, potevi almeno avvisarmi. Sai che non mi piacciono questo tipo di situazioni.” “Lo so, Ayane” rispose il vecchio “ma non potevamo rischiare stessero controllando le comunicazioni in qualche modo. Comunque su, in macchina, che è ora di andare, abbiamo perso anche troppo tempo a discutere.”
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