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Nabbaggini sui libri, LOL

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view post Posted on 14/2/2018, 17:02
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Salve a tutti ragaaa

Ho pensato di aprire questo topic per parlare un po' di alcune mie riflessioni nabbe sui libri letti, l'ho fatto su personal spaces perché non ho affatto una cultura adatta a fare recensioni - ma ce ne ho un poco giusto per fare le mie riflessioni personali, che magari non saranno sempre in tutto obbiettive bensì influenzate dal mio personale modo di pensare e dai gusti.

PRIMO CAPITOLO: ADDIO ALLE ARMI di E. Hemingway

L'ho letto forse un annetto fa, non ricordo quanto tempo, perché in quel momento non sapevo che libro leggere e chiedendo un parere a papà, lui mi ha suggerito Hemingway.
Anzitutto, lo stile è stato un impatto piuttosto traumatico. Non dico affatto che un brutto stile anzi, è originalissimo e scorrevole, ma è molto, molto semplice, privo di aggettivi, riflessioni, descrizioni, tutto puntato sui dialoghi, qualcosa a cui personalmente non ero abituata. Certo io, a dire la verità, preferisco il romanzo in cui si fa un po' di analisi psicologica del personaggio, in cui ci siano descrizioni dettagliate di tutto, ambiente, persone, ecc... però Hemingway sa scrivere e la sua semplicità è un tratto caratteristico, pure influenzata dai suoi ricordi, dai suoi stati d'animo, considerato che aveva partecipato alla prima guerra mondiale. E questa guerra costituisce proprio lo sfondo sul quale si sviluppano le vicende di Addio alle armi - il titolo in inglese A farewell to arms in realtà, può essere inteso sia come "addio alle armi" sia come "addio alle braccia", l'ho trovato geniale ma non vi spiego le motivazioni di questo possibile doppio significato perché non intendo raccontare la trama.
Molto bella l'atmosfera, nel senso che Hemingway in questo romanzo ha saputo rendere perfettamente agli occhi di chi legge il grigiore degli ambienti in cui si svolgono le vicende: le trincee e le strade bombardate piene di fango sono fotografate con pochi dettagli descrittivi ma in modo abbastanza efficace. L'unico momento in cui Hemingway traccia atmosfere meno grigie e più solari è quello in cui il protagonista, Frederic, si trova ovviamente con la sua fidanzata su un lago Svizzero a vivere tranquillo e lontano dalla guerra, e qui abbiamo la bella baita di legno, i simpatici fittavoli montanari, il lago, i boschi e una serie di scenari molto sereni. Ma il libro si chiude tragicamente e alla fine infatti tornano le stesse atmosfere cupe del prima-vacanza, con la pioggia, e chiaramente questo mette in luce la visione che l'autore ha della guerra, di sicuro ammirevole: qualcosa che irrompe nella vita e la stravolge, ma che non ha nulla di ideale.
Ho detto che il narratore - che corrisponde con il protagonista - non fa molte riflessioni, però è anche vero che quelle poche presenti, sparse in maniera isolata nel testo, sono tutte riflessioni sulla morte, sul fatto che irrompe nella vita, che nessuno alla fine può scapparvi; e all'inizio della lettura non ci davo tanto peso personalmente, però quando si arriva alla conclusione del libro allora le si riesce a comprendere in tutta la loro importanza: infatti prima il protagonista fa queste riflessioni, poi si illude di poter vivere una vita felice e lontano dalla guerra, alla fine invece si ritrova a constatare amaramente la verità delle cose che prima aveva pensato. A me quest'impressione ha dato, ma non so se sono stata chiara :ahstop:
Certo inizialmente ho avuto un po' di difficoltà a capire quelle riflessioni. Cioè, mi spiego: uno che dice "eh, alla fine nessuno scappa dalla morte, la morte ti prende sempre, ti stravolge tutto" tu, alla tua età e nel contesto in cui vivi, fatichi a capirlo. Basta però pensare al fatto che il libro parla della prima guerra mondiale e allora riesce tutto chiaro.
Ma veniamo alla parte più divertente: i personaggi. Ecco, secondo me i personaggi sono importanti più della trama nell'economia di una storia. Se il personaggio è originale, possiamo trovarci di fronte a un capolavoro letterario anche se la sua trama è trita e ritrita.
Certo l'originalità può essere data da altri elementi anche, lo stile, l'atmosfera, il messaggio ecc...e quest'ultimo è il caso di Addio alle armi. Infatti il protagonista, Frederic, non è granché originale né mi è riuscito particolarmente simpatico. Sì, mi dispiace e tutto poverino che alla fine è rimasto disperato, però non mi ha dato nel complesso una grande impressione. Tipo, sta alla clinica ferito, si ubriaca come un pirla e non solo, fa pure i capricci con l'infermiera perché le toglie gli alcoolici che gli fanno male. In quell'occasione allora non ho provato alcuna simpatia per lui, mi è parso solo un bimbo viziato e punto. Ma restano gusti personali...tra l'altro personalmente non provo gran simpatia per i personaggi che si ubriacano a manetta, ma è anche vero che spesso i soldati bevevano alla prima guerra mondiale per esorcizzare la sofferenza psicologica causata dal fronte. Certo però va tenuto conto che Frederic è un volontario nell'esercito, non è un povero fante, e pure se rischia la vita non è che nel corso della storia patisca tutte le sofferenze dei soldati semplici.
Ma chiudiamo la parentesi alcool. Il protagonista continua a essermi antipatico verso la fine della storia, quando la fidanzata partorisce e lui afferma di non provare alcun affetto paterno per quel povero bambino, sembrando soltanto interessato alla fidanzata. Ma dico, sembrando, perché non è detto che Frederic non provi alcun affetto solo perché è un tipo irresponsabile, ma anche per una questione del bambino che non intendo dire - sempre per quel fatto che non voglio fare nessuna anteprima nel caso qualcuno intenda leggere il romanzo. Inoltre mi è sembrato molto efficace il paragone che il narratore fa con il bimbo, che gli sembrava "un coniglio scuoiato di fresco" e che già instilla nel lettore la sensazione, peraltro fondata, che ci sia qualcosa che non va.
Più simpatico mi è risultato il protagonista alla fine, quando emerge proprio a galla la sua disperazione con un breve flusso di pensieri, parecchio intenso. E per il fatto che alla fine ha dimostrato avere qualche emozione, infatti per tutto il corso del romanzo non mi era granché simpatico proprio per questo motivo, non cambiava mai stato d'animo, mi sembrava un bimbo viziato con le donne e l'alcool e una vera e propria pizza fredda con il grilletto.
Non parlerò tanto degli altri personaggi, infatti questa è la storia di Frederic e l'autore focalizza l'attenzione su di lui, più precisamente su come la vicenda abbia influito sulla visione che Frederic ha della guerra. La co-protagonista, l'infermiera Catherine - no, non quella che gli toglieva gli alcoolici - non mi ha colpita particolarmente; cioè sì, è una donna innamorata e tutto come anche Frederic, ma mi ha lasciata un filo perplessa in certi punti.
Tipo: "Frederic, facciamo questa cosa X? Anzi no! Facciamo tutto quello che vuoi tu". Boh? Menomale che il protagonista la rispetta e la ama, e non gli vengono in mente idee scellerate. Altrimenti, "Frederic, faccio sempre quello che vuoi tu".
"Va bene, Catherine. Ci buttiamo nel pozzo?"

E niente, concludo qui le mie riflessioni nabbe su quello che in realtà è un capolavoro, aldilà delle mie impressioni personali. :sisi:
 
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view post Posted on 16/2/2018, 12:39
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Daedra

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Questa tua riflessione mi è piaciuta e interessata proprio tanto, al punto che ora ho voglia di leggermelo pure io che non sono molto una lettrice. Grazie! :fiorellino:
 
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view post Posted on 16/2/2018, 13:52
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Ti ringrazio io Signora :fiorellino: spero per te che sia un'esperienza di lettura piacevole :sisi:

altrimenti mi sento in colpa lol
 
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view post Posted on 25/2/2018, 17:52
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SECONDO CAPITOLO: IL SIGNORE DEGLI ANELLI e IL SILMARILLION di J.R.R. Tolkien

Prima di iniziare intendo premettere una cosa: nel caso mi faccia trascinare troppo dall'entusiasmo non ci badate. Infatti Tolkien è, per il momento, il mio autore preferito, non solo per il genere letterario - il genere fantasy - ma anche per i contenuti.
In realtà, è difficile parlare di quali siano i contenuti delle opere di Tolkien. Qui per contenuti ho voluto intendere il messaggio, che per me è una componente centrale nelle storie; ma il messaggio non è l'unico contenuto dei libri di Tolkien. E infatti non sono io la prima a dire che Tolkien non ha inventato solo delle semplici storie, ma un mondo: un mondo fatto di storia, cultura, costumi, persino di svariati linguaggi, l'elfico - con diversi dialetti! - l'orchesco, il nanico, la lingua degli Uomini; sembra addirittura che le lingue siano proprio la base sulla quale Tolkien ha articolato le sue storie.
Partirò dal Signore degli Anelli: l'ho letto un paio d'anni fa, si tratta di un'opera di rara lunghezza e vastità; nonostante ciò, leggendola, non ho avuto l'impressione che fosse così lunga. La sua lettura non mi ha annoiata, ho amato le atmosfere create, a volte solari - come nelle città degli Elfi, caratterizzate da boschi luminosi, luci, fiori ecc.. - a volte cupe, come le terre buie e piene di cenere di Mordor. Ma non voglio dire che si tratti di una lettura facile: la difficoltà maggiore con la quale mi sono scontrata è stato il fatto che si tratta di un romanzo pieno di nomi. E ti capita a volte di leggere distrattamente un nome, che so, a pagina 30, per poi ritrovartelo 100 pagine dopo. E allora te ne esci con una domanda del tipo, "e da dove diavolo è uscito questo?" Si tratta in realtà di una cosa che ho ritrovato anche nel Silmarillion, motivo per il quale ho ringraziato quell'anima pia del figlio di Tolkien per aver fatto un pratico indice dei nomi, che consultavo tipo due volte ogni pagina.
Ma non voglio divagare. In ogni caso, si tratta di un'opera così vasta che riesce quasi difficile farne una riflessione. Sulla trama, nulla di particolare in sé per sé: Sauron vuole impossessarsi di un oggetto - l'Unico, il famoso anello - mediante il quale potrà raggiungere una situazione di strapotere sulla Terra di Mezzo. A questo punto intervengono i protagonisti della storia, l'incarnazione del bene, fanno la guerra, e lo neutralizzano e alla fine tutti tornano felici a casa, essendo stato l'anello distrutto; tutto questo, tralasciando tutti i vari intrecci paralleli, la storia di Merry e Pipino che con gli alberi parlanti distruggono Saruman il Bianco che si contendeva l'anello con Sauron, e poi la storia di Frodo e Sam che si avventurano, da soli, a Mordor.
Prima di leggere il Signore degli Anelli avevo sentito dire che è un racconto "sull'eterna lotta tra il bene e il male"; questa definizione non mi attirava perché la ritenevo una storia trita e ritrita, banale - non sono mai stata una "manicheista". I cattivi che minacciano il mondo, i buoni che li menano, e poi tutti felici a festeggiare. Ma leggendo il Signore degli Anelli mi accorsi che la questione non è così semplice; e anzi molto più originale e approfondita.
Anzitutto, il male è incarnato dall'Anello: si tratta di un bellissimo cimelio in grado di accendere in chi lo indossi sete di potere, brama, desideri e tutto quel che ne consegue, ossia la malvagità. Chiunque abbia a che fare con l'anello - e Sauron più di tutti - perde la ragione e diventa malvagio. Prendiamo la scena di Boromir, il personaggio più problematico del romanzo: Boromir vorrebbe l'anello perché, secondo lui, gli consentirebbe di vincere contro Sauron e salvare Gondor, la sua terra; il fine è rivolto al bene, sì, ma in quel momento Boromir è aggiogato dall'anello e arriva ad aggredire e insultare Frodo per impossessarsene, affermando, nella sua follia, la frase che maggiormente si oppone al pensiero di Tolkien: dice infatti che sono gli Uomini a fare la storia, e non gli Hobbit, da lui considerati in quel momento esseri senza importanza, poiché gli Hobbit erano sempre vissuti nella Contea, lontani dai grandi avvenimenti; e per questo Boromir afferma che non sono capaci di grandi cose. Subito dopo, quando Boromir si rende conto di quello che ha fatto, si pente e si vergogna tantissimo delle sue azioni e del solo aver desiderato l'anello. (Per fortuna fa in tempo a rifarsi, in ogni caso). Pertanto l'anello ha la capacità di far perdere le rotelle anche alle persone meglio intenzionate, e, usando le parole di Tolkien, schiavizzarle. Si tratta a mio parere di un messaggio molto positivo, perché dicendo questo Tolkien altro non dice che chi fa il male non è mai libero. Tolkien non si sofferma mai ad analizzare le motivazioni delle azioni malvagie dei nemici, creando dei malvagi dotati di grande profondità; perché questa profondità nei malvagi non c'è. L'unico motivo che spinge gli abitanti della Terra di Mezzo a essere cattivi è uno solo, ed è legato al possesso, alla sete di potere, e a null'altro. Le opere di Tolkien sono abbastanza svincolate dal generale panorama letterario del Novecento: perché Tolkien ha cercato di fare un recupero di quelle certezze che negli ultimi secoli si sono perse. Tolkien pone il disinteresse come valore opposto alla brama di possesso: se leggiamo il Signore degli Anelli ci accorgiamo che i personaggi più belli sono proprio quelli che agiscono senza alcun interesse dietro - e al contrario, i più malvagi sono sempre lì ad aspettare ricompense. Il mio personaggio preferito è stato proprio Samvise Gamgee. è un personaggio che veramente incarna la bontà tolkieniana: non possiede grandi domini, regni, la sua unica occupazione è fare giardinaggio nel giardino di Frodo. Per questo la sua mentalità è molto distante dai conflitti d'interesse, e al contrario fondata su valori autentici e disinteressati. Proprio in virtù di questi valori Sam è in grado di accompagnare Frodo nel suo viaggio a Mordor, una sfacchinata assurda, oltre che a salvarlo, lui da solo, da una torre pattugliata da tremendi Orchi; e infine, gesto più grande di tutti, sale sul Monte Fato tenendo Frodo sulla spalla, perché il peso dell'anello fa mancare le forze a Frodo. Oserei dire che l'ho trovato uno dei personaggi più positivi di tutta la letteratura occidentale, per quel poco che ne so io. è inoltre molto interessante il modo in cui Tolkien l'ha caratterizzato: la semplicità di Sam si rispecchia in tutto, anche nel suo modo di parlare. Ancora mi viene da ridere a ricordare la scena in cui inventa un termine per definire degli insetti che disturbano le notti dei viaggiatori, chiamandoli "nichibrichinichi" per i versi che fanno, ossia, come sta scritto, una sorta di "niiic briiic" :rotfl:
Per quel che riguarda gli altri personaggi, uuh, qui ce n'è una marea. Come già detto, il mio preferito è stato Sam; mi è molto piaciuta anche Eowyn - una donna che vuole prendere parte alle grandi azioni e non gingillarsi in casa a non fare nulla, e peggio ancora, ad aspettare gli uomini. Proprio la scena in cui confessa ad Aragorn di voler partire in guerra e non restare a casa come "una balia asciutta", temendo "una gabbia" che le impedisca di fare grandi gesta basta a smentire il mito di un Tolkien sessista. è vero, la stragrande maggioranza dei personaggi è maschile, e non nego che all'inizio anche io ho storto un po' il naso a questa cosa, però approfondendo la lettura ci rendiamo conto anche del modo in cui Tolkien parla di donne come Eowyn: senza la sarcastica diffidenza, quella snervante arietta di sufficienza che caratterizza tanta letteratura maschilista, ma con sguardo pieno di comprensione e ascolto. Le donne di Tolkien non sono mai scontate e insipide, non c'è verso di loro un atteggiamento di sdolcinato maschilismo che le vorrebbe chiuse a casa perché poverine fuori si sciupano: al contrario, se decidono che devono fare una cosa, la faranno. E infatti Eowyn alla fine va in battaglia e, risoluta, uccide, se non sbaglio, il Signore dei Balrog, mostri al servizio di Sauron; il quale Signore dei Balrog, per una profezia, non sarebbe potuto morire in altro modo.
Il personaggio di Eowyn, inoltre, partecipa alle scene che a mio parere sono tra le più belle: il dialogo con Aragorn di cui sopra, la scena in cui si rivela orgogliosamente come donna al Signore dei Balrog, e infine la storia d'amore con Faramir con uno dei dialoghi più belli e maturi di tutta la storia, in cui entrambi decidono d'inaugurare una vita di pace, lontani dai grandi avvenimenti.
Il personaggio che invece mi è piaciuto di meno è stato Denethor: padre di Boromir e Faramir, re di Gondor, il suo figlio preferito è Boromir e questa preferenza lo porta a fare delle battute davvero poco felici con l'altro figlio.
Belle anche le storie d'amicizia che si sviluppano durante la storia: il già citato duo Frodo-Sam e anche l'amicizia di Legolas l'Elfo con il Nano Gimli, una storia d'amicizia che sfida, con la sua autenticità, secoli di storia contrassegnati da inimicizia tra gli Elfi e i Nani, un'amicizia fondata sul perdono che rompe ogni schema mentale; salvo poi favorire, grazie all'unione e alla collaborazione di tutti, la vittoria. Questa è proprio la tematica dominante nel Silmarillion: il valore dell'unione e del perdono contro gli schemi mentali e i rancori. Un esempio è la bellissima storia d'amore tra Beren e Luthien, appartenenti a due razze tra loro ostili, ma che in nome dell'amore riescono a superare quest'odio e questo rancore e, unendosi a combattere insieme, riescono a vincere.
Si tratta questa di una costante che è alla base di tutte le storie contenute nel Silmarillion. Il perdono e l'unione contro gli schemi mentali a favore del cambiamento. Non a caso, quando Thingol, padre di Luthien, manda Beren a prendere il silmaril convinto di mandarlo a morte, - perché non vuole che sua figlia sposi un uomo - Tolkien dice che nel regno di Thingol in quei giorni "le ombre si allungarono". Un altro esempio è la storia di Earendil il viaggiatore: osservando il dolore degli Elfi nella Terra di Mezzo a causa di una loro antica colpa, Earendil chiede agli dei perdono e pietà per loro; e grazie a quest'invocazione disinteressata, gli dei salvano gli elfi da Morgoth, il dio nemico che tormenta da secoli tutti, Elfi e Uomini.
Un'altra costante di tutte le storie del Silmarillion sono le cadute. Ossia, cadute di regni felici che avevano prosperato a lungo e che sono crollati per colpa dei conflitti d'interesse e per la brama. Finché vige la legge del bene comune e della fiducia, le civiltà del Silmarillion prosperano, ma quando entra il germe dell'interesse e del desiderio, eccole entrare in una fase di decadenza che si conclude con una rovina. A portare questo germe sono i silmaril, gemme prodotte anticamente da un Elfo di nome Feanor - un personaggio antipatico, tra l'altro, sempre indiavolato manco fosse Vegeta. I silmaril assumono nel Silmarillion lo stesso ruolo che l'Unico Anello assume nel Signore degli Anelli: riescono ad assoggettare tutti alla propria volontà e chi li desidera condanna il suo regno alla rovina.
Ho finito il Silmarillion qualche ora fa e mi è piaciuto tantissimo: ci sono stati momenti in cui sono stata incollata alle sue pagine. Però bisogna dire una cosa: il Silmarillion non è un romanzo come il Signore degli Anelli. Assume più che altro i tratti di una rassegna storica, dall'origine dei tempi fino alle vicende del Signore degli Anelli; quindi non aspettatevi una storia avvincente. La narrazione certo ogni tanto è avvincente, tipo nella già citata storia di Beren e Luthien, ma in sostanza è un resoconto storico, anche se è pur sempre un'opera letteraria e artistica, con un suo messaggio, e come tale va vista. Differisce dal Signore degli Anelli anche per la sostanziale mancanza di personaggi umili e semplici come Sam e Frodo, che sono una presenza costante nell'opera di Tolkien, e per le pochissime poesie che pure sono numerose nelle sue opere. Di conseguenza manca anche quel tono leggermente umoristico e divertito che ogni tanto compare nel Signore degli Anelli - si vedano i nichibrichinichi - e i toni si mantengono nel Silmarillion molto impegnati ed elevati.
Non manca anche qui la contrapposizione tra le atmosfere serene e felici dei periodi di prosperità e le atmosfere dei periodi di decadenza, cupe fino alla malinconia. Queste atmosfere cupe trovano la loro massima espressione nella storia dell'eroe tragico Turin - che è quella che più mi ha incollata sulle pagine. Turin è destinato sin dalla nascita a una vita infelice e votata al fallimento, per colpa di una maledizione di Morgoth. Visto che tutta la sua storia era una serie di eventi tragici allora io maggiormente mi accanivo a leggere, per vedere se ahimè finiva bene. Infatti era così sfortunato che mi era diventato simpatico :dramma: davvero la più triste storia che Tolkien abbia inventato, a mio parere, e che mi ha fatto odiare Glaurung, il drago asservito a Morgoth che rovina la famiglia di Turin. Come detto, nel narrare la storia di Turin Tolkien ricorre a descrizioni di ambienti molto cupe, a sottolineare il fatto che l'eroe è nato in un periodo infelice per la Terra di Mezzo e che è oppresso da un destino drammatico: e allora descrive tempeste, venti, e usa spesso il termine "la luce smoriva".
In ogni caso, anche se è meravigliosamente scritto - leggete l'inizio del capitolo su Beren e Luthien, è stupendo - a volte il Silmarillion, essendo pensato come una rassegna storica, non riesce a rendere davvero la bellezza di certe storie, come quella di Beren e Luthien o di Turin, che qui sono soltanto riassunte; tanto che per storie del genere Tolkien ha pensato di scrivere dei romanzi a parte.
Nella prefazione Tolkien precisa che il Silmarillion è una storia incentrata sugli Elfi. Prima del Silmarillion si racconta la storia delle origini e degli dei, poi comincia il Quenta Silmarillion ossia la storia dei Silmaril, che parla degli Elfi; dopo si parla invece, in via sommaria, del regno di Numenor e degli Uomini ai tempi degli eventi del Signore degli Anelli. Il finale è suggestivo: il libro finisce con la fine della storia degli Elfi, che lasciano la Terra di Mezzo partendo con le loro navi verso Occidente - un finale tra l'altro simile a quello del Signore degli Anelli.
Concludo qui comunque questa lunghissima riflessione, sperando di essere stata chiara e di non aver fatto una confusione assurda...che può anche essere :rotfl:
 
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view post Posted on 27/2/2018, 20:21
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Daedra

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Alla faccia della nabbaggine! Un'altra fantastica riflessione che m'ha tenuta a leggerla tutta d'un fiato... mi piace soprattutto lo stampo personale con cui esprimi il tutto :sisi:
Così tanti libri da leggere, così poca volontà :dramma:
 
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view post Posted on 27/2/2018, 23:56
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Grazie Signora :P

Comunque non ti preoccupare, anch'io prima leggevo davvero poco e niente...ho cominciato a leggere seriamente due-tre anni fa e ora mi sto mantenendo abbastanza costante - praticamente mi faccio una specie di programmino mentale sui libri da leggere :rotfl: e Tolkien l'ho abbandonato parecchio a malincuore.
Certo è vero, spesso ci vuole un po' di pazienza nella lettura, ma la volontà viene con l'esercizio e con la tenacia :sisi:

Se vuoi cominciare a leggere comincia con libri che ti possano interessare :sisi: altrimenti la lettura è un hobby come un altro, non è necessario se non appaga ^^
 
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view post Posted on 28/2/2018, 00:34
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Molto profonda come rjflessione, ma non per questo presuntuosa o stucchevole. Mi piace :sisi:
Tuttavia da puntualizzatore demm***a quale sono ho un appunto da farti: Eowyn uccide il Re Stregone di Angmar, ossia il capo dei Nazgul. I Balrog non avevano nulla a che fare con Sauron, dato che erano fedeli a Morgoth e ai tempi di LOTR ne erano rimasti pochissimi (se non il solo Flagello di Durin, ma non ci giurerei. Non c'è lo vedo Gandalf a estinguere una razza, per quanto malvagia possa essere :ahsisi:)
 
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view post Posted on 28/2/2018, 00:39
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CITAZIONE (Shi no Tenshi @ 28/2/2018, 00:34) 
Molto profonda come rjflessione, ma non per questo presuntuosa o stucchevole. Mi piace :sisi:
Tuttavia da puntualizzatore demm***a quale sono ho un appunto da farti: Arwen uccide il Re Stregone di Angmar, ossia il capo dei Nazgul. I Balrog non avevano nulla a che fare con Sauron, dato che erano fedeli a Morgoth e ai tempi di LOTR ne erano rimasti pochissimi (se non il solo Flagello di Durin, ma non ci giurerei. Non c'è lo vedo Gandalf a estinguere una razza, per quanto malvagia possa essere :ahsisi:)

Grazie anche a te Shi! ^^
Comunque non ti preoccupare correggi pure :asd: io stessa sono consapevole che non ricordavo bene chi era, perché ho letto il Signore degli Anelli due anni fa e quindi mi è sfuggita la cosa.
Grazie per la correzione :sisi:
 
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view post Posted on 28/2/2018, 00:43
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Di nulla :sisi:

Ps: mai letta la Guida Galattica per Autostoppisti? O qualcosa di Robin Hobb? Anche se in realtà quest'ultima te la consiglio solo se non hai problemi di depressione o robe simili, dato che il protagonista nei primo libro e per buona metà del secondo è uno di quelli che "oh no perché a me tutti mi odiano non ce la faccio più #maiunagioia"
 
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view post Posted on 28/2/2018, 00:46
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No, in realtà non ne ho mai sentito parlare :omg:

Di che si tratta??

edit. cioè forse no, della guida galattica per autostoppisti ho sentito parlare, l'altro no
 
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view post Posted on 28/2/2018, 00:55
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CITAZIONE (Xarlys @ 28/2/2018, 00:46) 
No, in realtà non ne ho mai sentito parlare :omg:

Di che si tratta??

Di cosa? Della Guida o di Robin Hobb?

Guida Galattica eccetera eccetera: è la "trilogia in cinque parti" di Douglas Adams ed è conosciuta per essere parecchio bizzarra nello svolgersi delle vicende pur partendo da una base abbastanza classica (la Terra viene distrutta da degli alieni)

Robin Hobb: è una scrittrice americana che scrive Fantasy. A oggi ha scritto 19 romanzi ambientati nello stesso mondo, i Sei Ducati (in Italia sono 21 perché l'editore ha deciso di pubblicare la seconda trilogia in cinque libri). Il personaggio principale è Fitz, figlio bastardo del Principe Chevalier Lungavista, che si ritrova da piccolissimo a dover vivere a corte consapevole che tutti lo tratteranno come il bastardo che è. In realtà non tutte le saghe parlano di lui, ma alla fine sono ugualmente importanti per le sue vicende.
 
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view post Posted on 28/2/2018, 00:58
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Capito, comunque no non conoscevo queste saghe :nono: magari più in là potrei leggerle, mi attirerebbe soprattutto Robin Hobb per il genere. Sì, anche se è depresso :asd:
 
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view post Posted on 28/2/2018, 01:02
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Alla fine è depresso solo nei primi due libri (l'apprendista assassino e l'assassino di corte), anche se qualche sprazzo di depressione c'è anche nei libri più avanzati (e devo dire che una certa scena ne "il risveglio dell'assassino" è a metà tra il triste e il cringe)

Più che altro ogni tanto ci sono momenti wtf che capisci solo tre libri dopo, roba che Martin spostati che sei un principiante
 
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view post Posted on 7/3/2018, 18:00
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LOL è un sacco che non scrivo qui...ma presto, visto che sto esaurendo la lista di libri già letti - non ho letto così tanto :omg: - questa cosa diverrà la norma.

TERZO CAPITOLO: LE AFFINITA' ELETTIVE di J.W. von Goethe

Ho letto questo un po' di tempo fa quindi dirò essenzialmente quello che posso ricordare...non è freschissimo come il Silmarillion ma proverò a non dire cavolate. Perdonatemi XD
Allora, si tratta di uno scritto della maturità di Goethe. Non conosco il pensiero di Goethe, so solo per via generale che è un romantico e che ha scritto "I dolori del giovane Werther" - sempre se non sbaglio - che io non ho letto ma che so comunque essere un'opera piena di temi romantici. Ora, uno può immaginarsi che le Affinità Elettive siano quindi piene di slanci eroici, personaggi super-orgogliosi...no.
Si tratta di un romanzo invece molto sobrio. L'inizio è un tranquillo quadretto famigliare, una famiglia aristocratica formata solo da marito e moglie, non ci sono figli, solo parenti lontani. I due abitano in una tranquilla villa in campagna, un po' lontana quindi dalla città, insomma un quadretto che in generale ispira serenità anche per il rapporto tranquillo e felice tra i due coniugi, Edward e Charlotte. In realtà però, quando Edward propone alla moglie di ospitare un suo amico a casa, un certo capitano, Charlotte è titubante, perché sembra prevedere che, qualunque cambiamento apportato alla loro vita può causare sconvolgimenti di ogni genere. Alla fine però Edward riesce a convincerla - anche se Charlotte mi è sembrata sempre titubante. E a buon ragione, come si può vedere con il proseguire del romanzo.
è importantissima, per la comprensione del romanzo, la scena in cui il capitano, ospitato a casa, legge un libro che parla delle cosiddette "affinità elettive": ossia criteri mediante i quali gli elementi chimici si disgregano e si assemblano. Per dire, se l'elemento A sta con B ma per qualche motivo è più affine a C, allora si disgrega da B e si mette con C. Fatto sta che questo criterio si applica, a detta dei personaggi presenti, anche alle persone. E tutti questi elementi, il timore di Charlotte e la teoria scientifica applicata alle persone, sono sentori profetici di quello che accadrà successivamente.
Successivamente Charlotte decide di ospitare a casa la sua nipote Ottilie. Questa insieme con il capitano costituisce un elemento disturbante per l'equilibrio iniziale di cui sopra: infatti il caso vuole che Edward è più affine a Ottilie che a Charlotte, mentre Charlotte è più affine al capitano che al marito. Questo perché Edward e Ottilie sono persone molto sentimentali, che non sanno imporre realmente la propria volontà sulle proprie passioni, mentre Charlotte e il capitano sono persone caute e razionali. Infatti, i primi a fare le corna sono Edward e Ottilie...il resto dei vari guai viene dopo.
Ora, non ci tengo a fare una rassegna della trama - anche se qui è piuttosto importante - quindi passerò al solito elemento preferito: i personaggi.
Personalmente, non ho stravisto per nessuno dei personaggi in particolare, ma in generale ho apprezzato più la coppia razionale Charlotte-capitano a quella sentimentale Edward-Ottilie. Infatti io preferisco i personaggi - e in generale, le persone - che riescono a essere padroni dei sentimenti. E con questo non dico che uno si deve trattenere, per esempio, dal piangere - norma che io ritengo ridicola, ma pazienza, ci siamo abituati... - ma semplicemente, dannazione, che deve considerare tutte le cose nel loro complesso e saper prendere la decisione che man mano ritiene giusta, e stabilire un dialogo con le altre persone.
E invece Edward che succede? - Scusando lo spoiler - s'innamora di Ottilie e subito se ne frega altamente della moglie e di quello che dice. Perde totalmente la testa per inseguire il suo sogno amoroso e se ne esce con atteggiamenti infelici, tipo si ubriaca, pianta la moglie e pare addirittura contento quando una disgrazia cade su suo figlio. Ora, non voglio fare moralismi facili condannando il fatto che Edward ha tradito la moglie, non lo fa nemmeno l'autore e non è per quello che non mi piace come personaggio: più che altro non mi è piaciuto il suo atteggiamento, che spesso a mio parere sembrava rasentare il menefreghismo. Non mi è piaciuta nemmeno tanto Ottilie, a dire il vero, e non so perché. Infatti è meno menefreghista di Edward, sì, però non c'è nulla di lei che mi abbia entusiasmato. In generale mi è sembrata piuttosto piatta negli atteggiamenti...può essere che non mi sia piaciuta per questo motivo. Insomma, alla fine ho tifato più per la coppia Charlotte-capitano che per l'altra, non me ne volere Goethe :pianto:
Tra l'altro ho avuto l'impressione che Charlotte seguisse una specie di percorso di formazione. All'inizio fa di tutto per mantenere saldo il vincolo matrimoniale, ma dopo si rassegna che la cosa migliore è lasciare stare il matrimonio e far sì che ognuno possa vivere liberamente con chi ama. Concede a Edward di stare con Ottilie, e a sé stessa di stare con il capitano. Questo è il punto in cui, secondo me, la sua ragione raggiunge il culmine più maturo, perché si astrae dalle norme sociali per accettare quello che, oggettivamente, è il meglio per tutti. Ma l'influenza delle norme sociali, sempre condizionante, non scompare ma fa sì che il finale non sia lieto.
E infatti se leggiamo il libro ci rendiamo conto che l'autore non si sbilancia mai. Non tifa né per Edward e Ottilie né per Charlotte e il capitano: si mantiene sempre in equilibrio. Mancano quindi gli slanci eroici e i sentimenti forti che dovrebbero caratterizzare un romanzo dell'800 romantico a favore di un atteggiamento maturo ed equilibrato. Per questo il libro non va letto come una condanna dei sentimenti vissuti fino in fondo, come si potrebbe pensare dalla trama, più che altro come una storia che racconta come le norme sociali possano condizionare pesantemente la ragione umana e far compiere scelte sbagliate e non totalmente ponderate. La cosa migliore, per fare la scelta giusta, sarebbe astrarsi dalle regole sociali, ma Goethe ci insegna come questo sia difficile e come le regole poste dalla società ci condizionano tutti, chi più chi meno, e sempre. Non a caso è Charlotte, che è riuscita a fare questo sforzo razionale meglio di tutti, ad accettare la realtà delle cose con maturità e a costruirsi una vita felice, per quanto possibile.
Per quanto riguarda le atmosfere e i toni, beh, invidio Goethe per quella capacità di mantenersi sempre in equilibrio, mai sbilanciandosi e mantenendo sempre un atteggiamento maturo e benevolo verso i personaggi. Lo stile è delicato e sobrio e le atmosfere si mantengono sempre serene e composte, anche nei momenti più drammatici, un romanzo che in generale manca di eccessi di ogni genere.

Concludo come al solito augurandomi di non aver sparato castronerie belle e buone :rotfl: ma in ogni caso, prendetele come delle impressioni personali, mai come delle recensioni affidabili.
 
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view post Posted on 15/3/2018, 18:40
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QUARTO CAPITOLO: NOTRE DAME DE PARIS di V.Hugo

Anche questo libro è piuttosto vecchiotto ma mi è rimasto particolarmente impresso, quasi non so perché... :asd:
La difficoltà con cui mi sono venuta a trovare è stato il fatto che è difficile trarre un senso o un significato dalla vicenda. L'insegnamento del libro c'è, ed è chiaramente espresso in un capitolo in cui l'autore, prendendo le mosse da una battuta pronunciata da Frollo ("questo ucciderà quello") sostiene che l'architettura per diverso tempo si è fatta portavoce della mentalità delle civiltà, e che ora (dove per "ora" bisogna intendere i tempi di Hugo, chiaramente) è inevitabilmente sostituita dalla carta: infatti gli edifici si deteriorano col tempo, non così i libri e le stampe che possono essere moltiplicati all'infinito e viaggiare senza restrizione alcuna, e perpetuarsi in eterno. Mi è sembrato di notare un atteggiamento lievemente pessimistico da parte di Hugo al riguardo, come se la sostituzione dell'architettura con la stampa fosse qualcosa di negativo. Non che avesse tutti i torti, ma non riguardo ai libri, più che altro agli edifici, che davvero prima li sapevano costruire e ora li fanno di carta per scarsa attenzione...ma non voglio divagare.
Notre Dame de Paris sembra a questo punto, voglio azzardare un'ipotesi, una specie di recupero di quell'architettura, come se Hugo volesse ricordare al lettore quei tempi in cui l'architettura aveva tanta importanza. Si tratta non a caso di un romanzo storico, ambientato nel medioevo a Parigi, e a questa città Hugo dedica una straordinaria attenzione: c'è addirittura una lunga digressione, "Parigi a volo d'uccello" in cui descrive minuziosamente Parigi, le sue parti e i suoi edifici ai tempi del Medioevo, quando Parigi non era fatta di larghi viali ma di stradicciole strette tra alti palazzi.
Difficile dire come questo fascino si rifletta nelle vicende. Si tratta della storia di una ballerina di strada di nome Esmeralda, oggetto dell'amore di quasi tutti gli altri personaggi principali. Però si tratta di amori diversi: quello del poetastro di strada Pierre è un'infatuazione e nemmeno tanto, sembra più anzi che Pierre volesse farsi ispirare poeticamente da Esmeralda. Infatti dopo non è che se ne curi più di tanto e torna tutto concentrato sulla sua arte. Poi c'è l'amore di Phoebus per lei, che non è nemmeno amore perché focalizzato tutto sull'aspetto del godimento e del sesso, tanto che anche Phoebus l'abbandona e se ne frega altamente. Poi, quello dei personaggi più importanti: Frollo, che pure ama Esmeralda per il piacere che ne può trarre, ma il suo è un amore di gran lunga più disperato di quello di Phoebus: non tratta Esmeralda come un semplice giocattolo sessuale ma come qualcosa che deve avere tutti i costi nella sua vita e che non si può cambiare. L'amore più puro ed elevato è invece proprio quello del personaggio più bello della storia, quello di Quasimodo, (il Gobbo di Notre Dame). Quasimodo è innamorato di Esmeralda ma le vuole anche bene, e lotta non per possederla ma solo per il bene della ragazza. Per dire, Frollo arriva a detestarla perché Esmeralda non lo vuole, Quasimodo invece la difende fino all'ultimo, anche se pienamente consapevole che Esmeralda ha occhi per un altro.
E per chi ha occhi? Per il personaggio più schifoso insipido e ripugnante di tutta la storia: ossia Phoebus de Chateauper.
Phoebus è una descrizione esatta ed efficace di come poteva essere un aristocratico. è maschilista, violento, sfrutta tutti e pensa solo a bere e bestemmiare e andare a prostitute, ha sempre quella snervante arietta ipocrita e sufficiente ed è indifferente a tutto. Esmeralda s'innamora di lui quando Phoebus la salva da un rapimento in una strada malfamata, perché vede in lui l'incarnazione - sdolcinatamente maschilista - dell'uomo ideale: "il cavaliere che è pronto a proteggerla". Il bello è che quando Phoebus la salva, lui dice qualcosa del tipo: "Fatemi largo, devo salvare questa sgualdrina". E lei non ci fa minimamente caso all'insulto e s'innamora perdutamente di Phoebus, che nemmeno l'ha salvata per cavalleria quanto perché era il suo lavoro. In pratica, un personaggio di emme, ma complimenti a Hugo per averlo caratterizzato in maniera così credibile e precisa.
Nemmeno di molto migliore è Esmeralda. Ora, non voglio fare la ramanzina su come si doveva comportare e di chi si doveva innamorare e in base a quale criterio: dopotutto se voleva un uomo che la proteggesse forse dipendeva dal fatto che viveva in vicoletti malfamati ed era sempre in pericolo. Forse l'autore ne ha voluto fare un ritratto dell'ingenuità giovanile: Esmeralda s'illude facilmente di cose che non esistono di fatto, s'illude di essere amata da Phoebus. Ma aldilà di tutto, è una donna dannatamente piatta, sciocca e superficiale, e questo è esemplificato dalla scena in cui Quasimodo le chiede se preferirebbe un vaso di coccio pieno di fiori (ossia il gobbo, brutto fuori ma bello dentro) o un vaso di cristallo ma poco fertile e senza fiori (Phoebus, bello fuori ma brutto dentro). E lei, molto intelligentemente, abbraccia il vaso di cristallo, prediligendo apertamente la bellezza esteriore a quella di Quasimodo. Ora, va bene che il gobbo sia un po' bruttino e non lo ami, ma amare Phoebus!...Insomma, purtroppo come personaggio non ho molto apprezzato Esmeralda, eufemismo per dire che mi era decisamente antipatica.
Per finire la carrellata di personaggi antipatici, non sopportavo il fratello minore di Frollo, Jean du Moulin, pure quello un bamboccio viziato come Phoebus, che sperperava i prestiti di Frollo a birre e prostitute e sparava battute cariche d'ignoranza, frignando sempre d'avere pochi soldi e di patire la fame, salvo poi ridere di dietro al fratello. Non mi è dispiaciuto di lui francamente alla fine. E non è un caso che facesse squadra con Phoebus.
Più problematico è invece Frollo. Certo Frollo combina cose gravissime nella storia, pure più gravi di quelle fatte da Phoebus, (è un prete pedofilo, per dire) ma la sua psicologia è più profonda e le sue azioni negative sono frutto di un tormento interiore. Per questo Hugo porta il lettore a partecipare ai suoi pensieri e a vivere insieme a lui tutte le fasi del tormento psicologico cui è succube. Non è giustificabile quello che fa, nulla da dire, ma il lettore non può che provare amarezza nei confronti di un uomo fallito come Frollo. Infatti quando l'autore racconta la vita di Frollo, ne esce l'immagine di una persona davvero nobile e sensibile, dotata di qualità davvero positive. Si prende cura del fratellino come fosse una madre, studia con grande diligenza le lettere e questa conoscenza fa sì che lui adotti il piccolo Quasimodo abbandonato in una chiesa dandogli affetto e opportunità che nessun altro gli avrebbe dato: infatti la gente comune, con la sua ignoranza, ripugnava Quasimodo perché era un gobbo, e all'epoca un gobbo era considerato un servo del diavolo. Ma Frollo non ci credeva perché possedeva una solida cultura classica ed era aldilà di tutto dotato di valori umani molto alti. Perciò quando Frollo impazzisce e abbandona tutta la sua vita per inseguire Esmeralda e cercare di possederla a tutti i costi, il suo fallimento di uomo è tanto più triste, proprio perché prima di tutti i casini della storia era una bravissima persona. Non so se mi sono spiegata :ahstop:
Nonostante l'autore sia attento alla psicologia del personaggio, le crudeltà commesse da Frollo gli impediscono di essere un eroe. Più che altro, è un anti-eroe, mentre l'unico vero eroe della storia è Quasimodo, il Gobbo di Notre Dame. In una scena, l'autore dice di lui che era "troppo vicino alla natura". Proprio per questo, il gobbo era dotato di una bontà superiore che gli altri intorno a lui non avevano. Quasimodo è lontano dalla società, caotica, crudele, tutta piena di pregiudizi e falsità: l'autore stesso dice che ha sempre vissuto nella cattedrale di Notre Dame con l'amorevole compagnia del prete, e la sua unica occupazione era suonare le campane, cosa che adorava fare.
Proprio per questa semplicità d'animo Quasimodo si comporta da eroe. Ha il coraggio di salvare Esmeralda dalla forca e portarla nella cattedrale perché goda del diritto d'asilo e sia protetta dai nemici; la ama ma non fa di tutto per possederla, ma con grandissimo coraggio e una maturità unica accetta che Esmeralda purtroppo non lo ama; e si batte fino all'ultimo, fino alla fine per difenderla, arrivando ad affrontare Frollo stesso, a cui Quasimodo stesso voleva grandissimo bene.
Potrete intuire che l'atmosfera del romanzo è parecchio tragica, uno sfacelo totale, e l'unico a spezzare e sdrammatizzare un poco è il poeta Pierre. è un personaggio simpatico e certe sue battute rasentano la comicità, eppure è anche un personaggio che lascia facilmente perplessi. In un primo momento s'infatua di Esmeralda, poi la dimentica totalmente per tornare all'amore per l'arte, e forse questo amore lo porta a non fare caso ai tanti casini che succedono a Esmeralda. Sebbene per un breve tratto di storia sembri coinvolto in questi guai, tuttavia ne sembra sempre distaccato, come guardasse sempre le cose dall'alto. Forse incarna il tipico atteggiamento dell'artista, il quale cerca di trovare una sua serenità nel caos comune...ma non sono totalmente sicura di questo.
L'unico personaggio femminile che invece mi è sembrato più riuscito è stata la reclusa. Le altre donne del romanzo non mi hanno lasciato niente, lei invece - e non vi sto a spiegare perché, pena gravissimi spoiler sulla trama - colpisce per il suo coraggio e per la sua disperazione. Non è totalmente buona come il gobbo, è invece succube anche lei di pregiudizi - tipo chiama il gobbo "demonio" - ma il coraggio ostinato quanto disperato che mostra alla fine basta, a mio parere, a riscattarla come personaggio e a far chiudere un occhio sui suoi errori.
Per quel che riguarda la lettura, si tratta di un romanzo che a tratti può essere impegnativo, ma mai illeggibile. Basta solo un pizzico di pazienza e si può tranquillamente mandare giù questo romanzo. Come detto all'inizio non è tutto azione, ci sono pensieri dell'autore esposti in digressioni a volte un pochino lunghe, ma è chiaro che essendo un'opera di una certa qualità letteraria richiede un certo impegno da parte del lettore. Ma ripeto, nulla di infattibile: si può tranquillamente leggere. E ne vale la pena, soprattutto se si pensa al bellissimo finale...che vi consiglio di leggere in ogni caso, anche se non c'è intenzione di leggere tutto il romanzo, perché è qualcosa di davvero toccante.
 
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