Eccoci al secondo capitolo. Vi prometto che nel terzo ci sarà da divertirsi. Spero di completarlo entro la settimana, impegni vari di real permettendo. Nel frattempo, godetevi il proseguo!
-II-
L'armata nera
Il sole era a mezzogiorno quando l'esercito purpureo di Solitude arrivò a destinazione.
Le truppe del generale Arvad Sellius si posizionarono nella rada tra un bosco ammantato di bianco e i colli montuosi dello Hjalmarch.
I vessilli purpurei del Lupo e quelli del Drago Argentato su campo rosso si scuotevano al freddo vento del Nord.
I soldati erano inespressivi nei loro elmi, intenti a concentrarsi e a risparmiar energie per lo scontro.
Non meno di duemila fanti si posizionarono come fronte mentre cinquecentosettantatré arcieri passavano oltre la linea sacrificale, coi genieri logistici intenti a preparare i bracieri.
Subito dietro ai lancieri e alla fanteria leggera il nocciolo duro dei maghi-guerrieri capitanati dalla maga Altmer Korshiari Al'yed: seicento specialisti delle arti arcane nelle loro armature pesanti color piombo, sulle quali le auree variopinte degli incantamenti si muovevano come aurore boreali pronti a scatenare l'inferno contro i manichini provenienti dall'Oblivion
A chiudere le file, Arvad e la sua guardia del corpo a cavallo, unici cavalieri in sella a destrieri addestrati apposta nelle dure terre del Nord, attorniati da mille guerrieri scelti, la macchina assassina composta da legionari di lungo corso e dai guerrieri Nord armati di martelli, zwaihander e asce bipenni.
A Sud, a due miglia dalla barriera eretta a protezione del passo, una massa bianco-oro e argentea prendeva posizione.
Se l'esercito di Solitude e la IV a Legione contavano poco più di quattromila soldati, Undar con la IX a e gli uomini di Whiterun stimava neanche duemila e cinquecento.
Settecentoquarantacinque fanti leggeri, centoventitré arcieri, quattrocentocinquantadue maghi e ottocentonovantadue soldati dei reparti d'élite, più le guardie personali degli ufficiali.
Per quanto Undar non avesse i numeri proprio dalla sua parte, sapeva che poteva contare sul valore dei suoi uomini. Aveva scelto di persona i migliori soldati di ogni reparto, secondo il suo motto: “Un soldato con grande esperienza , abilità ed onore vale come dieci eccellenti mercenari che combattono per denaro”.
Undar passò in testa alla sua armata, scrutando la piana della battaglia.
“Bene, Arvad è già in posizione.” Disse, osservando l'esercito alleato
“Attendiamo l'Abominio.”
I suoi occhi erano fissi verso la distesa bianca di fronte a lui, spazzata dal gelo, in attesa di una macchia color pece.
Una decina di soldati a cavallo con le insegne di Arvad giungevano verso la sua direzione. Pochi minuti dopo i due alleati si ritrovarono riuniti.
“Aye, Undar. Che il Fato ci arrida oggi, e che Talos ispiri le nostre lame. Possa il soffice respiro di Arkay portare le anime dei caduti nell'oltretomba. Come è andato il viaggio? Abbiamo avuto parecchi problemi con la tremenda bufera di neve di stanotte. Metà delle mie guardie è rimasta appiedata, i loro cavalli non hanno retto al gelo...per Shor, erano i migliori destrieri che questa fredda terra avesse mai cresciuto. Il Pale Occidentale fornisce poche protezioni ai suoi viaggiatori.”
“Aye, Arvad. Felice di vederti incolume. Siamo stati fortunati stanotte: il Mare Bianco (The Pale Shore, nds.) ci ha offerto una discreta protezione. D'altronde sotto le sue fronde, una bufera è il problema minore: Troll del Gelo, Ragni Congelanti, Spettri del Ghiaccio, e altri figli dei Daedra si nascondono nella foresta. Per fortuna i nostri maghi hanno occultato il campo in maniera eccellente. Abbiamo sofferto un po' di gelo, ma una bevuta di idromele te lo fa dimenticare.”
Concluse Undar, sorridendo.
“I tuoi uomini sanno vero, a cosa li stiamo mandando incontro?”
“Si Arvad, gli ho scelti personalmente per questa battaglia. I migliori di ogni reparto. I guerrieri più spavaldi e impavidi che abbia mai conosciuto: Arruolati da Leyawin sino a Solstheim. Combatteranno anche dopo la morte a Sovengarde.”
“Sono contento della tua fiducia, Undar. Anche i miei son ben motivati: hanno famiglie nell'Haafingar, e i legionari sanno che perdere questa battaglia significa rischiare una guerra a cui l'impero non potrà far fronte. Sariel Septim I è troppo giovane, e l'imperatrice reggente troppo concentrata a stipulare accordi con le Summerset e i Dunmer. Se il nostro caro negromante dovesse vincere, saranno anni bui, a Tamriel”
Arvad si fece scuro in volto. Un impero tenuto sotto scacco da un sedicente mago in grado di usare i morti come arma. Una fine ingloriosa per la dinastia Septim.
Mentre discutevano sulle tattiche, specialmente su come bloccare sul nascere un evocazione senza fine di non morti, Katherin, che era vicino a loro, avanzò di poco verso la distesa bianca. I suoi occhi verdi avevano notato qualcosa. Fece avanzare il suo cavallo ancora per qualche metro finché non si arrestò. Una sottile linea nera si delineava all'orizzonte.
“Stanno arrivando!” Urlò la campionessa.
Le sue parole echeggiarono nella piana fino a perdersi nei sibili della bora. Un rumore sinistro, simile al ghiaccio quando viene spezzato, accompagnava la tetra marcia dell'esercito dei Non Morti.
Dapprima una striscia sottile, divenne una melma bluastra man mano che marciava verso gli umani.
La macchia color pece si fermò a qualche miglio di distanza dai condottieri umani.
Migliaia di scheletri, chi in armatura, chi con qualche straccio addosso, chi solo con le ossa nude oscurava l'orizzonte. Una nebbia violacea circondava l'esercito. Nelle linee arretrate, un'oscurità ancor più fitta celava qualcosa di rivoltante.
Le prime file degli scheletri si spostarono ad un tratto, creando un sottile corridoio fino alla nebbia oscura. Tre neri destrieri, dagli occhi rossi, col corpo martoriato da cicatrici e ferite che tant'è era possibile vederne gli organi interni, fuoriuscirono dalla coda dell'armata con delle ombre sinistre in sella
Il loro passo corrodeva il terreno, lasciando impronte oscure sulla candida neve.
Tre cavalieri erano in sella. Le loro armature possedevano geometrie e disegni anomali per esser state create da un qualsiasi fabbro del Mundus. Gli elmi nascondevano la loro bestialità: solo gli occhi felini rossi come la lava e dalla sottile pupilla nera erano visibili.
Le spade erano curve in prossimità dell'elsa, per poi raddrizzarsi fino a tre quarti della loro lunghezza per poi incurvarsi, in direzione opposta a quella d'origine, verso la punta.
Avanzarono lentamente, fino a lasciarsi le prime linee alle spalle e poi, con uno schiocco di briglia, partirono al trotto verso i generali umani.
I tre cavalieri neri avanzavano spediti sulla neve, come una cometa nera in un cielo completamente bianco e in breve tempo furono dinanzi agli eroi imperiali.
Del trio, l'abominio centrale sembrava essere il più possente. Gli altri due, ai suoi lati, portavano le insegne del loro padrone: un teschio adagiato su un reticolo ricavato all'interno di un ennagono cremisi, il tutto inserito nel simbolo daedrico. Il simbolo era a campo viola scuro.
Undar e Arvad erano in attesa.
“Pietosi esseri mortali, vengo a portarvi la proposta del mio padrone. Egli sa esser clemente contro chi accetta la resa dalla disfatta, ma sa esser altrettanto spietato nei confronti di chi si opponga al suo volere.
Le nobili conquiste fatte dal nostro generale sono frutto della sua virtù d'animo. Nessuno può contestargli che queste terre gli appartengano di diritto e di fatto.
Egli conquisterà Skyrim con le sue schiere di non morti e Daedra e chiunque oserà intralciare il suo destino, pietà a Dagon dovrà chiedere quando i miei confratelli si scaglieranno contro cotanta scelleratezza.”
“Non voglio ossequiarvi ulteriormente, il vostro tempo è limitato.
Il mio padrone vi invita, gentilmente, alla resa.
Consegnate le vostre armi, sciogliete i vostri eserciti, accettate la sottomissione nei confronti del Padrone e avrete salva la vita.
Avrete anche la possibilità di diventar importanti condottieri o signori terrieri e governare con la paura le sue terre conquistate. Declinate e verrete trucidati in modi che solo noi Daedra conosciamo.
A voi la scelta, feccia.”
Così parlo con tono solenne il Signore dei Daedra sul suo oscuro destriero. La sua voce era profonda, rauca, come se provenisse dalle profondità di Nirn.
Undar lo osservò, e aprì bocca.
“Abominio, le tue parole sono vane. Risparmia i tuoi proseliti ossequiosi per chiedermi pietà mentre estrarrò il tuo cuore. Non ci piegheremo alle richieste di un negromante sanguinario, pazzo ed assassino. Dì pure di prepararsi a marcire all'inferno, i miei uomini sono nati per morire.
Possiamo terminare questa farsa, e lasciare che siano le spade a parlare.”
“Spocchiosi mortali, non avete capito la morte orrenda a cui andrete incontro. Riferirò al Padrone della vostra scelta. Implorate pietà ai vostri falsi Dei, vi serviranno quando le nostre lame impaleranno i vostri corpi e dilanieranno le vostre carni!”
Terminò il Daedra, con sordo grugnito. Fece cenno ai suoi commilitoni di girarsi, impennarono i cavalli e tornarono verso la loro armata.
“Peggio di quanto temessi. Sarà uno scontro sanguinario. Lord dei Daedra...a quanto pare il nostro maghetto fa sul serio, molto sul serio. Sarà dura tenerlo a bada Undar. Atornach, Dremora, forze bestiali verranno messe in campo. Dobbiamo contrastarlo fin da subito, o il nostro esercito verrà sopraffatto. Se ha stretto patti coi Daedra vuol dire che ha venduto la sua anima a qualche Lord dell'Oblivion, il che lo rende immortale e troppo pericoloso. Non so se potremmo batterlo a campo aperto. ”
Edgar Tharn era solito esser piuttosto drastico nel constatare le situazioni sul campo di battaglia, ma ormai nessuno gli dava troppo peso. Undar ricorda ancora quando sopravvalutò le forze di un piccolo plotone Aldmeri durante le Campagna Coloviane, ridotto in cenere da una sola palla di fuoco scagliata da Edgar. Fu da quel giorno che imparò a non prenderlo troppo sul serio, a meno che la sua stima non fosse vicina alla realtà dei fatti.
“Edgar, il tuo pessimismo cronico mi sorprende sempre. Siamo in vantaggio di almeno tre soldati a uno e tu pensi che due stregonerie da principiante di evocazione possano spaventarci? Di ai tuoi uomini di non incrociare la mira coi nostri, non è la prima volta che un flusso esagerato di magicka rinforzi delle creature dell'Oblivion.”
Korshiari Al'yed confermava le dicerie sugli Elfi Alti: se il bretone tendeva a sottostimare le proprie possibilità di riuscita, la maga Aldmeri sovrastimava tutto ciò che era sotto il suo comando.
Edgar la guardò stizzita mentre Undar parlò.
“Cerchiamo di guardare la minaccia dal suo lato reale. Stiamo affrontando una forza sconosciuta. Fareste meglio a esser pronti a tutto. Che Akatosh ci protegga!”
I due generali si separarono, cavalcando verso le proprie armate.
Undar giunse di fronte al suo esercito. Li vedeva i suoi uomini, intomoriti da quelle figure oscure a cui aveva parlato poco prima. Fissò per un poco la Marea Bianca, prese fiato e parlò:
“Uomini e donne di ogni razza, oggi siete chiamati a combattere contro l'ignoto. So la paura che alberga nei vostri cuori, la stessa che ho provato nel parlare a quegli Abomini dell'Oblivion. Le loro armature sono nere come la morte, le loro spade sembrano create apposta per squartare la nostra carne mortale. Ma è dalla paura più profonda che si vede il reale valore di una persona. Non vi ho scelto a caso: ho cercato i migliori soldati che avessi mai conosciuto, su cui so che posso contare sulla loro lealtà e valore. Siete qui perché so che mi seguireste anche nel piano più oscuro dell'Oblivion. Siete qui con me perché la morte non vi spaventa, siete qui con me perché volete difendere questa terra, i vostri cari, da un futuro orribile. Fate vedere a questi esseri immondi cosa vuol dire far parte del Mundus, cosa vuol dire essere di Tamriel. Mai fino ad ora un mago oscuro aveva osato tanto. Tutti quelli come questo sedicente negromante, o Padrone come si fa chiamare dai suoi servi, saranno puniti, se il nostro dovere di esseri mortali riusciremo a portare a termine. Invoco Talos, che guidi le nostre lame verso le loro teste. Che le ali di Kynareth ci proteggano dai loro colpi mortali e che Mara, la Madre, ci protegga dai loro sortilegi. E che Arkay trasporti le anime dei morti valorosi verso il Sovengarde col suo dolce soffio. E che Akatosh, padre del Tempo, vegli su di noi! Morte!”
Un boato riempì la piana. Il discorso di Undar aveva ispirato i suoi uomini. La paura restava sui loro volti, ma nei cuori dei soldati un irrefrenabile desiderio di morte stava prendendo largo.
Un altro boato esplose per la piana, dopo che Arvad ebbe finito di incitar la sua armata. Anche il gelido vento sembrò piegarsi a quelle urla di fuoco, acquietandosi.
Ma un rauco sibilìo riempì subito la piana. Proveniva dall'Armata Nera. Pochi istanti dopo, i non morti suonarono la carica.