Falkenvalde.
Poco più che un villaggio di montagna, popolato solo dai turisti che lo affollavano tutti gli inverni per sciare sulle relativamente vicine Alpi austriache, la cui unica attrazione non legata agli sport su neve era un castello medievaleggiante ormai tenuto in piedi più dagli Dei che dalle murature.
Eppure, chissà per quale motivo, Huginn e Muninn l’avevano portato lì, nei primi giorni di dicembre.
Non che si lamentasse, lui. Odino gli aveva dato un compito e Julius Asksson, che non conosceva altro che il dovere, l’avrebbe portato a termine.
I corvi, prima di sparire come loro solito in una nuvola di piume nere, si erano posati su uno dei merli ancora in piedi del castello: sbuffando per l’ironia, Julius si sistemò il bavero del pesante cappotto da aviatore che aveva indosso, assicurandosi che fosse ben chiuso visto il clima non esattamente ospitale di quei giorni, e fece per muoversi verso la struttura, che osservava la cittadina dalla cima di una collina poco distante.
Non era normale per lui trovarsi da quelle parti: non sapeva se suo “padre” avesse altri “figli” oltre a lui, né nel nord né in quella terra dove lo chiamavano Wotan e non Oðinn, ma sapeva che gli altri Aesir e Vani ne avevano di sparsi in tutto il mondo. Perché mandare proprio lui, soprattutto quando la sua area d’influenza era stata tutt’altra per i precedenti anni della sua vita?
“Le Norne operano in maniere chiare solo a loro” si rispose, continuando a camminare, il ritmico tap-tap del bastone di frassino che aveva nella mano destra sul selciato la sua unica compagnia, ma non si sentì comunque soddisfatto. Fino a quel momento gli era andata bene… ma Odino era destinato a perire nel Ragnarokkr tra le fauci del lupo Fenrir e da quello che sapeva i discendenti degli Dèi del suo Pantheon tendevano a replicare l’eventuale fato dei loro progenitori divini. Aveva conosciuto fin troppi figli e figlie di Tyr che avevano perso una mano o discendenti di Baldr che si erano improvvisamente scoperti mortalmente allergici al vischio per liquidare il tutto come mera superstizione.
“Quelli degli altri Pantheon se la passano facile… non ho mai sentito di un figlio di Horus che dovesse combattere con il proprio zio usurpatore” continuò, superando quella che pareva una scolaresca in gita. I ragazzi sembravano avere la sua età, probabilmente qualche anno in meno, ma gli sembravano così… distanti. Segni di un qualcosa che lui, per sua stessa natura, non aveva potuto sperimentare.
Senza nemmeno sapere il perché, si fermò a guardarli per un paio di secondi, il peso tutto sul bastone tenuto sul lato destro. Non aveva iscritto Mannaz su di sé, il tedesco era per lui quasi una seconda prima lingua, ma conosceva abbastanza inglese da cogliere qualche sprazzo di conversazione: erano degli studenti americani, pareva, in gita all’estero. “Poveri loro, costretti in questo paesino di merda per una delle loro prime volte all’estero” sussurrò in islandese, prima di dare ai ragazzi un’ultima occhiata e riprendere il proprio corso.
“Ma… quel ragazzo mi stava restituendo lo sguardo? Non sembrava interessato ai suoi compagni, aveva le cuffie, ma mi guardava.” Julius scrollò ancora le spalle “Me lo sarò immaginato.”
***
Kane, quando la sua scuola aveva annunciato un viaggio in Europa per gli studenti maggiorenni dell’ultimo anno, era stato estasiato. Certo, non era l’Egitto, che avrebbe preferito per ovvi motivi, ma era pur sempre un viaggio all’estero! Aveva fatto fatica a convincere John, purtroppo serviva anche la sua autorizzazione invece che solo quella di sua madre (che aveva detto immediatamente sì, ovviamente), ma alla fine c’era riuscito.
E la destinazione che la sua scuola aveva scelto… era stata Falkenvalde.
Quel paesino di merda senza nemmeno un hotel decente.
E, come se non bastasse, quando finalmente era riuscito a superare il fatto che tutto quello che avrebbero fatto nella loro settimana in Europa sarebbe stato visitare paesini nascosti tra le montagne austriache, la sua famiglia l’aveva contattato proprio quella mattina.
L’altra sua famiglia.
Nefti, nello specifico.
Con una richiesta.
“La mia solita fortuna…” pensò, aprendo la conversazione con l’ennesimo numero sconosciuto a cui sapeva non avrebbe potuto rispondere e iniziando a leggere il sorprendentemente corto messaggio in egiziano antico. Avrebbe veramente preferito si modernizzassero… Ma era anche vero che l’egiziano gli era stato utile per spacciare le richieste degli Dèi come “messaggi dei suoi parenti lontani” ai suoi compagni di classe. Il che non era completamente falso, ma sempre meglio evitare attenzioni indesiderate.
Non che ci fosse nulla di male a farlo sapere in giro, molti discendenti degli Dèi erano considerati vere e proprie celebrità, ma a Kane King, diciotto anni, piaceva la vita tranquilla.
Finito di leggere, il ragazzo mise via il telefono, infilandosi le cuffiette e sospirando per l’ennesima volta: Nefti gli aveva dato un lavoro relativamente semplice, recuperare un vasetto d’acqua magica del Nilo che pareva (era sempre un “pareva” con la sua famiglia, mai nulla di sicuro) si trovasse in città e, nello specifico, nel castello.
Fortuna che stavano andando proprio lì…
Ma quel tipo lo stava fissando?
Kane decise di concentrarsi sul misterioso sconosciuto: sembrava non essere eccessivamente più grande di lui, estremamente alto, pallido e con una folta chioma di capelli rossi, accompagnata da un altrettanto folta e decisamente poco curata barba dello stesso colore che, combinata col suo abbigliamento particolarmente sciatto, un paio di pantaloni neri e una giacca da aviatore di pelle marrone, lo facevano assomigliare a una specie di senzatetto. E probabilmente lo era, visto il nodoso bastone di legno che gli arrivava ben oltre l’anca tenuto nella mano destra.
E lo stava decisamente fissando.
“Che sia…? No, impossibile. Uno del genere?” pensò, decidendo di sostenere lo sguardo dello sconosciuto, che però ben presto decise di riprendere la propria avanzata verso, sembrava, il castello a propria volta.
“Bah… I tizi strani tutti io…” mormorò a mezza bocca, evitando di farsi sentire dai propri compagni di classe, mentre tutta la scolaresca iniziava, raggruppati gli ultimi ritardatari, a muoversi verso la loro destinazione.
Ci misero meno di una decina di minuti per raggiungere il castello e meno di un’ora per esplorarlo a fondo, seppur la guida avesse fatto il possibile per allungare il tour: con un notevole anticipo, Kane e i suoi compagni si ritrovarono inaspettatamente liberi di muoversi per la città fino a dopo l’ora di pranzo.
Quasi tre ore di libertà… che il giovane si trovava costretto a utilizzare per esplorare quel maledetto castello in cerca dell’ennesimo artefatto da mercatino delle pulci che gli Dèi egizi, e quasi sempre i membri dell’Enneade, avevano sparpagliato per il mondo nel corso dei millenni.
Evviva.
E quello strano senzatetto era ancora lì. Anche se, visto che il biglietto costava quindici euro, probabilmente non era un senzatetto… per quanto si stesse sforzando con tutto se stesso di sembrarlo. Oh beh, non un problema suo.
Tornando a guardarsi intorno, attendendo che la calca dei suoi compagni si diradasse, si rese improvvisamente conto di un particolare a cui non aveva fatto attenzione durante il tour: sul muro direttamente davanti all’ingresso, tra due noiosissime esposizioni di cocci e pezzi di ferro ormai reclamati dalla ruggine, si trovava una lastra di pietra.
Una lastra di pietra ricoperta di geroglifici e scene illustrate alla maniera egizia.
“Aspetta… Questo posto doveva essere un castello medievale e il volantino all’ingresso diceva che c’erano leggende di vampiri, non mummie o artefatti egizi.” mormorò tra sé e sé, stropicciandosi gli occhi e dando una seconda occhiata. No, sempre lì.
“Che c’è Kane, assonnato? I tuoi compagni di stanza russavano?” gli chiese Brian, uno dei suoi compagni di classe, ma il ragazzo scosse la testa “No, no, ho avuto problemi io a dormire, sarà stato il jet-lag… Piuttosto, Brian, lo vedi anche tu quello?” rispose, indicando all’altro la lastra di pietra incriminata.
“Il tizio dici? Si, lo vedo… Strano assai, per fissare un muro vuoto, ma si sa che gli europei sono tutti matti. Beh Kane, noi andiamo a farci un giro, che fai vieni?” rispose lo studente, facendo spallucce, al che Kane scosse nuovamente la testa “Non adesso, volevo dare un’altra occhiata… Poi magari ci vediamo per pranzo, eh?”
Brian annuì, prima di iniziare ad allontanarsi, lasciando nuovamente Kane solo coi suoi pensieri e la misteriosa lastra.
“Un muro vuoto eh? Un’illusione, quindi… ma perché quel tipo la sta fissando?” lo sguardo di Brian non mentiva: il misterioso uomo dalla barba rossa stava fissando a propria volta nella stessa direzione di Kane, concentratissimo sul “muro”. “È come me, un discendente degli Dèi… Ma non credo sia un fratellastro, né qualche altro tipo di parente acquisito. No, dev’essere di un altro Pantheon… E cosa sta facendo adesso?”
L’uomo misterioso aveva infatti iniziato a come grattare sul pavimento con il proprio bastone, apparentemente concentrato. Kane, sempre più incuriosito, cercò di avvicinarsi il più possibile senza dare nell’occhio, fino a raggiungere il proprio obiettivo e riuscire a trovarsi a pochissimo dall’uomo fingendo di essere particolarmente interessato al proprio telefono: stava mormorando qualcosa in qualche strana lingua che Kane non conosceva, mentre osservando meglio il ragazzo si accorse che il grattare sul pavimento non era casuale. L’uomo stava infatti ripetendo sempre le stesse movenze, una linea dritta seguita da due brevi linee diagonali, quasi fosse un simbolo per qualcosa.
Poi, all’improvviso, smise di cantilenare, sorrise e tracciò il simbolo per un’ennesima volta: da quel momento in poi, dove scorreva la punta del bastone seguiva una linea di quella che sembrava essere cenere che, appena il simbolo fu concluso, evaporò con una brevissima fiammata biancastra.
Kane si guardò intorno: nessuno sembrava aver notato nulla.
“Andiamo” sentì dire da una voce con un profondo accento nordico: alzando lo sguardo (era il primo momento in cui si era reso conto quanto il tipo fosse più alto di lui) trovò ad attenderlo gli occhi del misterioso sconosciuto, uno verde e uno di un azzurro talmente pallido da sembrare bianco.
“Andiamo” ripeté l’altro, notando la sua esitazione, e Kane, chissà perché, si ritrovò ad annuire e rivolgere lo sguardo verso il punto dove si era trovata l’illusione: davanti a loro si parava una scala in metallo che scendeva nelle viscere del castello, con gli altri avventori ancora apparentemente ignari di tutto.
Kane deglutì e si avviò, insieme allo sconosciuto, lungo la scalinata.
***
Julius non aveva mai pensato di trovare un altro come lui, beh magari non esattamente come lui ma era il concetto che contava, in quel posto sperduto. Ma si sa, le Norne lavorano in maniere misteriose e avrebbe dovuto apprezzare il non dover fare tutto da solo per una volta.
Mentre i due scendevano, molto velocemente, Julius tracciò in aria Mannaz, la runa dell’uomo: avrebbe permesso ai due di capirsi qualsiasi lingua parlassero. Era una soluzione temporanea, ma meglio di nulla per il momento.
Arrivati, in silenzio, in fondo alle scale, Julius si finalmente concesse una lunga e approfondita occhiata al ragazzo: capelli chiari, di un colore abbastanza indefinito tra il castano e il biondo, una felpa con cappuccio adornato da un mezzo pellicciotto, un paio di pantaloni attillati, scarpe da tennis e uno zaino.
“Per gli Aesir, ma vai ancora a scuola?” chiese Julius, stupefatto, ricevendo dal ragazzo solo un’occhiata infastidita, come a dire “non è ovvio?”
L’uomo si schiarì la gola, per poi stendere una mano verso l’altro “Scusami, era una domanda stupida. Julius Askrsson, creato da Odino. E tu sei…?” chiese. L’altro ricambiò la stretta di mano, ma sembrò pensarci bene prima di rispondere “Kane. Figlio di Ra.” concluse, asciutto. Julius scrollò le spalle. Non poteva aspettarsi che tutti fossero amichevoli.
“Bene Kane. Siamo entrambi discendenti di Dèi e ci troviamo entrambi qui oggi. Hai un’idea del perché?” chiese, spostando nel frattempo lo sguardo dal proprio compagno all’ambiente circostante: un asettico corridoio di cemento, illuminato giusto da qualche luce al neon che si propagava dal battiscopa, con in fondo una porta tagliafuoco verde scuro.
“Io ho un compito, da parte dei miei… Zii, diciamo. Devo recuperare un vaso, tu? Cose simili? Odino ti manda a recuperare… che ne so, posacenere?” rispose Kane, togliendosi lo zaino dalle spalle e appoggiandosi a uno dei muri in attesa di una risposta. Julius si limitò a scuotere la testa “No, non so cosa sia a fare qui… al mio creatore piace essere criptico, e ai suoi corvi ancora di più.”
“Continui a usare quella parola” osservò Kane “‘Creatore’, ‘creazione’… È un modo particolare di dire ‘padre’ oppure ha un significato?” Julius rimase un attimo in silenzio, fissandolo, per poi sospirare “Ha un significato, ovviamente. Gente come noi non può permettersi il lusso delle coincidenze, purtroppo, e quelli del mio Pantheon ancora meno degli altri… Odino è il mio ‘creatore’ perché è quello che ha fatto: ha preso un frassino e mi ha scolpito con il suo seiðr, la magia delle mie terre, con il solo scopo di creare qualcuno che gli servisse come strumento. Sono umano in tutto e per tutto… tranne che nella nascita e nello scopo.”
I due rimasero un paio di secondi in silenzio, prima che Kane riprendesse la parola “Oh beh, l’importante è che tu sia incastrato in questa missione di recupero come me, il resto sono dettagli inutili. La mia famiglia… altra… per farmi scoprire che non ero completamente umano mi ha prelevato che avevo dodici anni e fatto combattere con dei demoni scappati ad Anubi, quindi sono abituato alle stranezze” concluse con una risatina, prima di tornare serio “Comunque, cosa credi troveremo dall’altro lato?” chiese, indicando la porta verde davanti a loro “Mostri? O per una volta si tratterà di qualcosa di semplice?”
Julius fece spallucce, prima di dare un colpo a terra con il proprio bastone: ci fu un lampo grigiastro e, improvvisamente, Kane lo vide stringere una lunga lancia completamente in metallo al posto di un bastone in legno “Non ne ho idea” rispose l’uomo dai capelli rossi “Ma meglio prepararsi al peggio. Hai armi?” chiese, ma Kane scosse la testa “Non ne ho bisogno. Su, andiamo” concluse, facendo cenno al proprio compagno di aprire la porta.
Julius, senza mai abbassare la guardia, aprì la porta il più lentamente e cautamente possibile: davanti ai due si dipanava quello che pareva essere in tutto e per tutto un enorme magazzino, con file e file di scaffali di metallo, prevalentemente vuoti ma sulle quali ogni tanto si trovavano ubicate degli scatoloni di legno.
“Woooh…” mormorò Kane, sottovoce “Proprio come ne ‘I predatori della Mela delle Esperidi perduta’…” ricevendo però solo uno sguardo confuso da parte di Julius “Non l’hai mai vi- ah, giusto, Odino, bla bla bla, strumento eccetera. Devi recuperare, però” rispose il ragazzo più giovane, prima di tornare serio e far cenno al proprio compagno di avanzare.
Julius si mosse, la lancia sempre stretta fra le mani e la testa che si muoveva in tutte le direzioni per controllare che fossero soli.
Lo sembravano, ma non potevano ancora esserne sicuri.
I due avanzarono con cautela, sempre con occhi e orecchie aperti, fino a raggiungere la più vicina serie di scaffali: sempre nel massimo silenzio, i due osservarono il primo scatolone a cui riuscirono ad arrivare. Era vuoto all’interno, ma la parte più curiosa era sicuramente l’etichetta su uno dei lati: recitava “Atene – 1988 – Smaltito”.
“Smaltito?” ripeté Julius, confuso “Di che si trattava? Non ci sono indicazioni, descrizioni, nulla… Solo un luogo e una data. Kane, controlla un po’ quella” continuò, indicando una scatola poco lontana. Il ragazzo ubbidì: anche quella scatola era vuota, ma stavolta l’etichetta recitava “Pechino – 2000 – Smaltito”.
“Smaltito anche questo… qualsiasi cosa voglia dire” commentò, continuando a controllare altre scatole mentre Julius compiva lo stesso processo: tutte erano vuote e presentavano la stessa identica etichetta formata da luogo, anno e dicitura “smaltito”.
Tutte tranne una: finalmente Julius si trovò in mano una scatola con all’interno quello che pareva essere un vaso di terracotta, dal rumore che faceva pareva pieno di un qualche liquido, la cui etichetta recitava “Luxor – 2019 – In attesa”.
“Kane! Ho trovato qualcosa!” sussurrò verso il compagno, che lo raggiunse immediatamente, prima di osservare meglio il vaso appena recuperato: sulla superfice presentava, seppur estremamente sbiaditi dal tempo, quelli che sembravano chiaramente dei geroglifici e delle scene che raffiguravano gli Déi del pantheon egizio.
“Credo sia quello che Nefti mi ha mandato a recuperare… ma qual è il senso di questo posto?” commentò il giovane americano, afferrando il vaso e posizionandolo al sicuro nello zaino. Sembrava sigillato, e nello zaino aveva imbottitura proprio per quelle evenienze, quindi non ci sarebbero stati problemi.
Poi, all’improvviso, entrambi notarono una cosa che era sfuggita loro fino a quel momento: nella stessa cassa, sotto il vaso, si trovava quella che pareva una lista di località.
“Oslo, Luxor, Città del Capo, Berlino, Dublino, Tokyo, Il Cairo… e solo le prime due sono state sbarrate. Cosa significherà mai?” si chiese Julius, leggendo la lista a voce alta e porgendola al proprio compagno, che la lesse a propria volta “L’etichetta nominava Luxor e la data è di quest’anno… Magari è una lista di posti da cui stanno recuperando artefatti. Ma in quel caso, cosa vuol dire ‘smaltito’? E poi… il più vecchio che abbiamo trovato risale all’88, è quarant’anni fa. Perché raccogliere artefatti per così a lungo senza che nessuno prima di noi fosse mandato a investigare?” chiese Kane, ma Julius si limitò a scuotere la testa “Magari li hanno mandati, ma non sono sopravvissuti e gli Déi non hanno provato a mandarne altri finché la cosa non si è fatta pericolosa. Sai come sono… Distratti, quando si tratta di mortali.”
“… i siamo tutti? Bene.”
Una voce improvvisa, e soprattutto sconosciuta ai due, spezzò il silenzio in cui erano caduti. Una voce maschile, priva di particolari accenti, in un inglese perfetto, da libro di testo.
Proveniva dal fondo della stanza, verso cui Kane e Julius si girarono immediatamente: quattro individui, tre uomini e una donna, erano appena apparsi lì dove di individuo non c’era nessuno fino a un momento prima.
“No, ne manca ancora una” ringhiò con una voce estremamente gutturale uno dei tre uomini, quello che pareva il più giovane, un ragazzo dai capelli rossi che indossava quella che pareva una t-shirt sbrindellata e un paio di jeans, ricevendo però in risposta un gesto della mano da uno dei suoi “compagni”, un uomo estremamente alto, dai capelli praticamente bianchi, vestito in maniera elegante ma sobria, con una camicia bianca, un gilet grigio e un paio di pantaloni da sera dello stesso colore “Non preoccuparti di lei, sai com’è fatta. Troverà il modo per aggiornarsi”. La voce lo identificò come il primo a parlare, mentre il ragazzo rosso si limitava a sbuffare.
Gli altri due individui, una donna dalla carnagione olivastra e quello che pareva un businessman in abiti completamente neri, rimasero invece in silenzio, al che l’uomo pallido riprese a parlare “Assenti a parte, qualcuno ha novità riguardanti il nostro obiettivo? Adrian, sei riuscito a individuare la Reliquia a Berlino?” chiese, rivolgendosi verso il ragazzo più giovane, che scosse la testa “Non ancora, ma ci sono vicino. So che si trova sotto la città, ma non dove nello specifico.” L’uomo pallido, che sembrava essere il capo della banda, annuì pensieroso.
“Kane” chiamò Julius, a bassa voce, sempre osservando i quattro nascosto dietro uno scaffale “Credo che abbiamo appena scoperto il motivo della presenza di tutte queste scatole… sono loro il gruppo che sta raccogliendo artefatti”. Il ragazzo annuì, prima di iniziare a muoversi lentamente verso i quattro e far cenno al compagno di fare la stessa cosa. Julius annuì a propria volta e i due i mossero con estrema cautela verso i misteriosi individui.
Non avevano potuto prevedere, tuttavia, che il ragazzo giovane, Adrian l’aveva chiamato il capo, si girasse nella loro direzione annusando l’aria.
“Intrusi” ringhiò, fissando con estrema precisione il punto dove i due si trovavano giusto un attimo prima di nascondersi in fretta e furia “E uno di loro è di Odino. Riconoscerei quell’odore ovunque…”
“Quanti?” chiese l’uomo d’affari, allungando una mano davanti a sé e facendo apparire dal nulla una strana alabarda. Adrian si limitò ad alzare due dita, sempre annusando l’aria come un cane.
“Misteriosi intrusi” prese quindi la parola il capo dei tre “uscite allo scoperto. Non vi sarà fatto del male se lo farete… ma non posso assicurarvi la stessa cosa nel caso veniste trovati. Ve lo giuro.”
Julius e Kane si guardarono. Kane scosse la testa, facendo cenno all’altro di tornare indietro, ma Julius lo ignorò. Lentamente, infatti, uscì allo scoperto, la lancia sempre in mano e ben visibile e si incamminò verso i quattro, fermandosi circa a una decina di metri da loro.
“Vedo che almeno uno dei due è ragionevole” commentò l’uomo pallido “Ora, l’altro, prima che Adrian e Jackson debbano convincerti con la forza.”
Kane, maledicendo sottovoce il proprio compagno, si mostrò a propria volta, raggiungendo Julius.
“Oh, meraviglioso” continuò il capo quando furono entrambi visibili “Direi quindi che è arrivato il momento delle presentazioni. Lui” indicò il giovane dai capelli rossi “come avete potuto capire è Adrian, Adrian Vieth, figlio del lupo Fenrir;” Julius si immediatamente irrigidì, mentre Adrian gli lanciava uno sguardo carico d’odio “lei” parlava della donna dai tratti mediterranei “è Sophia Andreas, progenie di Echidna. E quello dietro di lei è suo… fratello, in un certo senso, Orthrus.” una specie di lupo a due teste fece capolino da dietro la ragazza, ringhiando e sbavando sul pavimento “E lui” continuò l’uomo, indicando il tipo vestito di nero “è Jackson Copson, prescelto di Mikaboshi. Quanto a me…” concluse, sorridendo “…potete chiamarmi Mr. Anders. E il nome di colui che mi ha creato… Crono.”
“E quale sarebbe il vostro scopo?” chiese Kane, cercando di apparire poco interessato, mentre mentalmente si segnava nomi e cognomi. Gli avrebbero fatto comodo, nel caso le cose fossero degenerate.
“Oh, nulla di ché,” rispose Mr. Anders, in maniera estremamente imperturbabile “assorbire il potere delle Reliquie degli Déi, liberare i Titani nostri genitori e patroni, detronizzare gli Déi, cose così.”
“Beh Kane” rispose Julius, puntando immediatamente la lancia contro Anders “Immagino di aver capito perché ci siamo incontrati qui.” Il ragazzo stava per rispondere, probabilmente con un’esortazione a correre via e non combattere cinque contro due, ma Anders lo fece al posto suo “Oh, suvvia, Julius Askrsson, metti via quella lancia prima che le cose degenerino. Anche se…” lanciò un’occhiata ad Adrian, che sembrava pronto a balzare sui due carico di molto mal nascosta furia “… potrei lasciarle degenerare un po’. Eliminare qualche problema in anticipo.” L’uomo sembrò pensarci su, prima di tirare fuori da una tasca una piccola clessidra e schioccare le dita “Ma si, dai, che male c’è. Adrian, Jackson, Sophia, eliminateli. Sophia, ti aspetterò lì dove abbiamo concordato, fai in fretta” concluse, prima di spezzare a metà la clessidra e sciogliersi in una montagna di sabbia, immediatamente trasportata via da un vento apparso dal nulla.
Julius puntò i piedi, pronto ad affrontare i tre e probabilmente a morire nel farlo, ma per sua fortuna Kane aveva altre idee: il ragazzo si fece avanti, gli occhi che brillavano, e urlò “Fermi!”, il suo tono autoritario e implacabile. Immediatamente i tre, nel bel mezzo del loro movimento, Adrian addirittura a metà del salto, si fermarono, come bloccati nel tempo.
Non sarebbe durato a lungo: subito dopo aver emesso il proprio comando Kane unì le proprie mani, che presero a rosseggiare di fiamme, e colpì il terreno con esse: subito, tra lui, Julius e i tre, si generò un vero e proprio muro di fiamme alte fino al soffitto del magazzino.
“Andiamo!” urlò a Julius, prima di iniziare a correre verso l’uscita, seguito a ruota (seppur con qualche secondo di ritardo) dal compagno.
L’uscita venne raggiunta in tempi estremamente brevi, non era lontana d’altronde, e appena ebbero varcata la porta tagliafuoco Kane sentì le fiamme svanire “Non hai un modo per chiuderli dentro?” chiese al compagno, piegandosi in due per lo sforzo improvviso. Julius annuì, tirando fuori da una tasca un gessetto bianco e tracciare sul cemento davanti alla porta una I “Isa, la runa del ghiaccio… Non molto, ma abbastanza per farci allontanare” rispose allo sguardo interrogativo di Kane, colpendo la runa con la punta della propria lancia, che immediatamente si ritrasformò in un bastone: la porta e tutto il muro per un paio di metri vennero immediatamente avvolti da uno spesso strato di ghiaccio.
“Quanto abbiamo?” chiese Kane, aprendo lo zaino per controllare che il vaso fosse ancora integro. Lo era, ma dallo stesso zaino si alzò un miagolio infastidito, che provocò un’alzata di sopracciglia da parte di Julius “Kohl te la faccio conoscere dopo” ripeté il figlio di Ra “Ora rispondi, per favore.”
Julius scrollò le spalle “Dipende molto da quanto sono bravi a contrastare questo tipo di magia… Da un’ora a un paio di giorni direi. Più a lungo le rune temporanee come quella tendono a consumarsi da sole”
“Andiamo allora, sperando che nessuno abbia notato nulla… E che non sia passato troppo tempo” rispose Kane, tirando fuori il telefono per controllare l’orario ma ricevendo immediatamente due nuovi messaggi in egiziano antico da un numero anonimo. Gli diede una veloce letta mentre i due salivano le scale: il primo era di Nefti, che si congratulava per il recupero andato a buon fine, mentre il secondo… il secondo era di suo padre, pareva, e recitava solamente “RA: HAI UN COMPITO KANE 😊”
“Eeeeeeeh, la mia solita fortuna… io volevo solo una settimana tranquilla, per gli Dèi…” pensò, controllando l’orario (non era passata nemmeno un’ora, per fortuna) e mettendo via il telefono. Erano finalmente arrivati alla fine delle scale, con davanti a loro il resto del museo: nessuno sembrava fare il minimo caso all’apertura nel muro, segno che l’illusione era ancora attiva in qualche modo.
I due oltrepassarono il “muro”, ricongiungendosi al resto dei visitatori.
Nessuno disse loro nulla, nemmeno l’uomo che se li ritrovò improvvisamente davanti e i due poterono finalmente tirare un sospiro di sollievo, dirigendosi immediatamente fuori dal castello.
“Kane” esordì Julius non appena si furono allontanati abbastanza dal resto della gente “come mai sei voluto fuggire? Non pensavi avremmo potuto sconfiggerli?” chiese, ma l’altro si limitò a scuotere la testa “No, non ce l’avremmo fatta. Erano quattro contro due e io non sono buono nel corpo a corpo, come avrai potuto intuire. Preferisco di gran lunga stare a distanza e lanciare fiamme.”
Un mugugno fu l’unica reazione dell’altro, che però rimase in silenzio fino a che non si furono allontanati completamente dal castello e tornati sulla strada principale, alla base della collina “Conviene che ci separiamo, almeno per il momento” esordì quindi Julius, guardando però il cielo come alla ricerca di qualcosa “Ma rimaniamo in contatto. Sei qui da solo?” chiese, ma Kane scosse la testa “No, sono in gita con la scuola…” iniziò, prima di venir immediatamente interrotto dal nordico “E allora temo dovrai inventarti qualche scusa. Non possiamo rimanere molto più a lungo qui, non con quella lista di luoghi in mano.”
Kane sospirò, visibilmente scocciato ma non negò: doveva essere una situazione comune per lui “Si, dirò che ‘un mio zio’ vuole che io spenda del tempo con lui… Mia madre sa chi è mio padre, ed è figlia unica, quindi capirà cosa vado a fare e reggerà il gioco con la scuola. Solo…” il ragazzo squadrò Julius, che torreggiava su di lui rosso di barba e capelli mentre sua madre era bassa e mora “… non credo si berranno tè come mio zio. Cugino forse, ma forse è meglio se non ci facciamo vedere insieme da troppa gente che conosce mia madre.”
Julius grugnì in approvazione “Sono d’accordo. Bene allora, cerca di liberarti dagli impegni scolastici il prima possibile, io invece cercherò un mezzo che possa portarci a Vienna.” “Vienna, perché?” chiese Kane “È l’aeroporto più vicino e dobbiamo trovare un aereo che ci porti a Dublino il prima possibile. Cercherò anche quello già che ci sono…” Julius guardò un paio di secondi l’orologio del campanile principale, che segnava poco dopo le due di pomeriggio “…ma dubito troveremo qualcosa oggi, tra viaggio e altro. Probabilmente ci converrà passare la notte qui e metterci in viaggio con la prima corsa di domani.”
Kane annuì “È deciso allora. Hai un mezzo con cui posso contattarti?” chiese, ricevendo in risposta un altro grugnito “Si, Odino è stato abbastanza previdente da fornirmi un cellulare e la conoscenza per utilizzarlo. Non che abbia molti contatti, questo è da dire… ma non sono uno sprovveduto” continuò Julius, procedendo poi a scambiarsi il numero con Kane.
I due si separarono quindi: Kane si diresse verso il centro cittadino, alla ricerca dei suoi compagni di scuola ai quali aveva promesso un pranzo assieme, mentre Julius tornò nella modesta struttura dove alloggiava, pronto a passare il resto della giornata a cercare un modo per raggiungere Dublino il prima possibile.
***
Il pomeriggio passò relativamente in fretta per Kane, tra un pranzo con i compagni e altri inutili giri per il borgo con la guida, e in un baleno si fece sera. Aveva già chiamato sua madre in un purtroppo assai breve momento di solitudine, avvisandola che “i parenti” avevano richiesto la sua presenza, e lei aveva acconsentito a sostenere l’alibi dello “zio interessato a passare del tempo con il nipote”.
Non rimaneva che comunicarlo all’accompagnatrice della sua classe, mrs. Tillen: fu davanti alla sua porta, intorno alle diciannove, quando stava per bussare, che Kane finalmente ricevette notizie di Julius.
“Ok, l’autobus per Vienna è alle 7:30… L’aereo è alle 11 ma ci vogliono due ore per arrivare all’aeroporto da questo buco infame in mezzo ai boschi… capito.” Segnalò all’altro che aveva preso visione degli orari, quindi passò alla schermata della rubrica e bussò alla porta della sua insegnante.
Mrs. Tillen gli aprì dopo pochissimo, la minuta anziana intenta immediatamente a squadrarlo da capo a piedi per capire il motivo di quella visita così tarda “Kane? Qual è il problema?” chiese, la voce gracchiante. Il ragazzo assunse l’espressione più contrita che riuscisse, prima di rispondere con tutto il candore che gli Déi avevano depositato sulla terra “Ah mrs. Tillen, mia madre non l’ha avvertita? C’è un mio zio qui a Falkenvalde e lui e mia madre si sono accordati per farmi passare il resto del soggiorno con lui, purtroppo. Quindi ero qui per avvisarla del fatto.”
La vecchia continuò a squadrarla, sospettosa “Chiama tua madre, Kane, e vediamo se è vero. Io non mi fido di voi giovani, un momento libero e andate a drogarvi… ” mormorò, chiaramente avvelenata, ma il ragazzo non se ne curò, immettendo il numero della propria genitrice. Una breve chiamata confermò la versione del ragazzo e mrs. Tillen non poté far altro che acconsentire alla sua sparizione dal resto del viaggio d’istruzione. “Niente rimborso!” urlò, prima di chiudere la porta in faccia al ragazzo, ma non era importante.
Kane sospirò pesantemente, intascandosi di nuovo il telefono e tornando verso la propria camera. Da quello che sapeva i suoi due compagni di stanza dovevano essere nella hall, essendo tornati prima, quindi aveva un’ora abbondante prima della cena per farsi una doccia bollente e, soprattutto, dar da mangiare a Khol ed esaminare il misterioso vaso che Nefti voleva.
Raggiunse in brevissimo tempo la propria camera, non distante da quella della sua insegnante, entrò, si chiuse la porta dietro e finalmente si tolse lo zaino dalle spalle, aprendolo sul pavimento. Un gattino grigio fece immediatamente la sua comparsa dai meandri del tessuto, raggiungendo con un paio di balzi la minuscola scrivania a disposizione e miagolando in maniera offesa.
“Si, si, Kohl, sto arrivando… E scusami per tutto il movimento oggi, ma a onor del vero sapevi in che vita ti stavi infilando quando sei stata spedita da Iside nel mio cassetto della biancheria” rispose Kane, tirando fuori una scatoletta di cibo per gatti dallo zaino e aprendogliela davanti. La gatta miagolò di nuovo, ma iniziò immediatamente a mangiare. Il ragazzo ne approfittò per stirarsi e tirare fuori il vaso dallo zaino, accendendo la torcia del telefono e guardandolo meglio: le decorazioni, oltre ai geroglifici che però non dicevano nulla di particolarmente utile se non raccontare la provenienza del vaso, raffiguravano scene di inondazione del Nilo e i contadini che celebravano il limo fertile che esse portavano.
Kane agitò cautamente il vaso, ascoltandone il rumore di liquido che veniva mosso, e fece per rompere i sigilli e aprirlo.
“Fa attenzione con quello.”
Una voce femminile squarciò immediatamente il silenzio, attirando a sé l’attenzione di umano e gatto contemporaneamente: apparteneva a una ragazza appollaiata sul davanzale della finestra, dalla carnagione tendente allo scuro simile a quella di Kane, lunghi capelli neri che le arrivavano quasi al bacino e un paio di occhi nocciola. Indosso aveva vestiti decisamente inadatti al clima montano, un paio di jeans e una maglietta a maniche corte, entrambi neri.
“E tu chi Ammit saresti, di grazia?” chiese Kane, quasi perdendo la presa sul vaso dalla sorpresa, mentre Kohl iniziava a soffiare piano. Il ragazzo allungò una mano per accarezzare la gatta, girandosi verso la sconosciuta che intanto era saltata all’interno della stanza e stava avvicinandosi e ponendo il vaso dietro di sé.
La ragazza lo raggiunse e gli tese una mano “Puoi chiamarmi Sam, per il momento… Kane King.”
Sapeva il suo nome completo E l’aveva pronunciato. Brutta storia.
“Immagino anche tu sia…” iniziò, per venir immediatamente interrotto “… una Scion, sì.” Kane si rese conto di aver fatto una faccia parecchio confusa, perché la ragazza, Sam, si affrettò immediatamente ad aggiungere un “Mai sentito? È un modo come un altro per chiamare quelli come noi, più di mortali comuni ma meno di semidei veri e propri, discendenti di Déi… o altro.”
Kane capì immediatamente “Sei una di loro. Di quei tizi nel magazzino.” La ragazza sorrise, un sorriso stanco “In un certo senso. Facciamo parte della stessa categoria, nel senso che anche mio padre è un nemico degli Déi… Di tuo padre, nello specifico… ma seppur li abbia ‘aiutati’ fin’ora i miei obiettivi e i loro differiscono notevolmente.”
Kane sgranò gli occhi. Non era possibile, non… “Una figlia di Apophi” sussurrò, in un misto tra bterrore e stupore.
“Si, ma non preoccuparti. Come ti ho detto, i miei obiettivi sono ben diversi da quelli degli altri quattro, io non desidero liberare il mio progenitore dalla sua eterna prigionia né fargli vincere il conflitto con Ra. No, al contrario, io desidero terminare quel conflitto” rispose Sam, ricevendo però in cambio un verso divertito da parte di Kane “Nobile intento” continuò il giovane “ma tu più di tutti, come me, sai che è impossibile. Il conflitto tra Ra e Apophi esiste dall’inizio dei tempi e continuerà eternamente, alimentato dalla loro rivalità, finché uno dei due non sarà morto… Ma sono entrambi immortali e nessuno dei due ha la minima intenzione di trovare un accordo; quindi, solo sostituendoli con delle nuove entità si potrebbe…” Kane realizzò le implicazioni delle parole della ragazza, guardandola nuovamente con occhi sbarrati “Stai scherzando, spero”
Lei sorrise ancora, un sorriso stavolta pieno di gioia “No. È fattibile, teoricamente: guarda a quando Iside ottenne una parte dei poteri di Ra. Con il vero nome di Apophi posso avere una speranza.”
Kane scosse la testa “È comunque una follia, una speranza minuscola. Verresti consumata dall’essenza stessa del Serpente se ci provassi. Un Dio non potrebbe riuscirci, probabilmente: anche Iside ottenne solo una parte del potere di Ra, e quei due sono più o meno allo stesso livello.” Sam continuava a sorridere, mettendo anche una mano sulla spalla di Kane “Appunto sono venuta da te, Kane King, figlio di Ra. Da sola sarebbe impossibile… ma in due? Soprattutto se posso rivelarti un piccolo segreto sulla natura di noi Scion?” continuò, avvicinandosi sempre più fino a sussurrargli le ultime parole all’orecchio.
Kane deglutì “Sentiamo il segreto, poi ti dirò la mia decisione.” Sam ridacchiò “Noi Scion siamo speciali in modi ulteriori dalla nostra nascita e dai nostri poteri… Noi tutti abbiamo il potenziale di ascendere. Eracle. Okuninushi. Romolo. C’è chi ci riesce e chi no, ma tutti noi abbiamo il potenziale di divenire come gli Déi” concluse, sempre sussurrando, prima di allontanarsi dall’orecchio del ragazzo e muoversi nuovamente nella direzione della finestra “Quindi, qual è la tua decisione, Kane?”
Il figlio di Ra deglutì nuovamente “Accetto, Sam. Non so quali siano i dettagli del tuo piano, ma rimuovere l’eterno conflitto non suona male… Ma a una condizione.”
La ragazza inclinò la testa da un lato, curiosa, ma non disse nulla.
“Sii la nostra spia. I tuoi obiettivi sono diversi da quelli degli altri, no? Tienici aggiornati, nel possibile, delle loro azioni.”
La ragazza sorrise di nuovo, salendo in piedi sul davanzale “Affare fatto. Oh, un’ultima cosa… dato che mi sembra corretto, visto il legame del nostro pantheon con i nomi e per il fatto che io conosco il tuo. Sam è carino, ma se vuoi puoi chiamarmi Samantha. Samantha Aston” concluse, prima di lasciarsi cadere nel buio della notte dicembrina. Kane corse immediatamente alla finestra, solo per vedersela spuntare dal basso, sospesa in aria. La ragazza rise della sua reazione, prima di svanire nel nulla.
Kane sospirò, gettando la scatoletta di cibo per gatti che intanto Kohl aveva finito di divorare e iniziando a spogliarsi per la doccia.
Le cose erano diventate improvvisamente molto più complesse. Interessanti, ma estremamente complesse.
Nato come un inside joke tra me e il mio coinquilino, mi sono reso conto che è effettivamente l'idea che preferisco e quindi mi sono messo a scriverla